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l'opinione"Superior stabat lupus..." (2) di voce sommessa
15/07/2005

Sta sempre più in alto il lupo e, come nella favola, pretende di dimostrare alla vittima la bontà delle proprie ragioni e il suo buon diritto a farsi giustizia.

 


“Tu sei un ribelle!”. Questo è oggi il verdetto severo di un lupo che ha preso le sembianze delle istituzioni. Vuoi solo la garanzia che i campionati siano regolari? “Chi li vince ne è garante!”. Chiedi legalità? “La legalità sono io!”.

L’agnello non ha scampo, come apparentemente non ha scampo il Grifone: la legge è scritta ma la sua applicazione è discrezionale e affidata a chi ha interessi vitali ma spesso illegali da difendere.

Lontano, perduto nella nebbia di un tempo quasi immemorabile, il calcio delle origini sembra non aver più nulla da dire al calcio dei “lab”, delle fidejussioni, della televisione e delle scommesse, al calcio taroccato dalla chimica, dal denaro, dalla politica e dalla criminalità organizzata. Ma la nostalgia per un calcio che non c’è più è solo uno sterile lamento che non porta da nessuna parte; diverso è invece non dimenticare i valori che fin dalle origini hanno dato e danno al calcio il suo fascino, diverso è farne la bandiera di una rivolta per riequilibrare i fattori che determinano se non la vittoria almeno la sua probabilità.

Rivolta? Questa parola sfuggita alla tastiera è insieme logora e nuova, ma qui da dove arriva?

Genova, nel tempo lontano che non ritorna, ha dato molto al calcio italiano.

Il fango del suo vecchio campo inzuppato dalla pioggia improvvisa arrivata dal mare, il gelo della tramontana di cristallo nella luce del sole che tramonta, promessa di primavera, l’amore inaspettato e fedele, trasversale alla città e affidato ai figli, ai figli dei figli e via attraverso le generazioni fino agli attuali custodi del fuoco antico.

Il caso (solo il caso?) ha voluto che quando poi è arrivato il tempo dei lupi le bandiere rossoblu si siano sempre levate in alto a dispetto loro e della legge da loro di volta in volta imposta.

Dopo che altri avevano perduto la purezza delle origini ed altri si erano affollati al proscenio perfino orgogliosi della propria ignoranza del passato, tutti comunque indulgenti verso qualunque prevaricazione purché utile a vincere, dopo che ciò era accaduto e quando l’esito sembrava irreparabile questa tradizione, ormai quasi un vezzo da compatire, è stata capace di portare trentamila ragazze e ragazzi di almeno tre generazioni a cantare, non di gioia ma d’amore, per celebrare una retrocessione in serie C

Questo nel XXI secolo è successo al Genoa, squadra di Genova, città di lavoro e di rivolta.

Rivolta? Che questa parola sia sfuggita dalla favola che non sappiamo (o che non vogliamo) raccontare? La favola dimenticata dove l’agnello fa fuori il lupo?

voce sommessa

 



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