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dalla redazioneStoria del portiere * * III : La palla in gioco
02/08/2006

 

Le norme riguardanti il portiere sono state tormentate, dall'inizio ad oggi, da una serie di correzioni, che hanno investito anche aspetti etici.

Infatti, come si diceva nello scritto precedente, l'apparizione del portiere ha fatto sì che, alla lunga, siano stati intaccate norme basilari, rispecchianti l'originario spirito del gioco, con la conseguenza anche di conflitti tra di esse.

 


Una di queste norme è il concetto della palla in gioco.

Il regolamento dice che la palla è in gioco fino a quando non esce dal campo oppure l'arbitro lo interrompe.

Questa non è solo una norma fra tante, ma è proprio uno dei fondamenti etici del gioco. In base a questo principio, il giocatore in possesso del pallone è sempre soggetto all'attacco degli avversari e non ha diritto di sottrarvisi. La palla è la preda contesa in ogni istante, senza altri momenti di interruzione oltre a quelli sopra ben precisati. La conquista della palla è l'obiettivo immediato di ogni giocatore, nello spirito di lealtà del gioco.

Infatti sappiamo tutti che in partita un giocatore non può sdraiarsi a terra sopra il pallone, o da terra trattenerlo tra le gambe, perché lo sottrarrebbe al gioco. E' il medesimo principio per cui nel rugby un giocatore placcato non può trattenere la palla a terra. Il motivo non è soltanto una situazione di possibile pericolo: è proprio l'impedimento della legittima competizione degli avversari.

Ed ecco che ora (parlo naturalmente del 1871) arriva un giocatore che può prendere la palla tra le mani e trattenerla.

E' una contraddizione col principio della palla in gioco, dato che in quel momento la sottrae all'assalto dei piedi avversari?  

No. Il sacro principio della palla sempre disponibile alla competizione i buoni inglesi non lo avevano demolito.

La palla in mano al portiere continuava ad essere in gioco per effetto di norme semplici: primo, il portiere con la palla in mano non la poteva portare (cioè con la palla non poteva compiere neppure un passo!); secondo, quando si trovava a terra il portiere non poteva trattenere la palla, doveva mollarla; terzo, poteva essere venire caricato fino ad essere spinto dentro la porta dagli avversari. Erano entrati in porta palla e portiere? Gol valido!

Ecco che con queste regole la palla era effettivamente in gioco, cioè attaccabile, anche se in mano al portiere, attraverso l'attacco al portiere stesso.

Come risultato, il portiere, in vicinanza di avversari, si comportava press'a poco come i difensori del periodo precedente, di cui abbiamo detto, quando non esisteva ancora un giocatore con tale delega: cioè respingeva sistematicamente la palla di pugno. Non molto era cambiato. Sotto un certo aspetto, era anzi una riduzione della possibilità di giocare la palla con le mani, concessa ora ad un unico giocatore.

Non nascondo una certa simpatia per queste vecchie regole. Mi immagino, con la fantasia, scene rugbistiche: il portiere fermo con la palla stretta al petto, sospinto verso la porta da una falange di attaccanti e sostenuto alle spalle dalla schiera dei compagni difensori, quasi come nelle moderne scene di rugby presso la linea di meta ma con la differenza che non era necessaria la "toccata a terra" per segnare il gol. Ma poteva capitare solo se il portiere non aveva avuto l'accortezza di respingere subito di pugno.

Da allora, nel corso degli anni, il fondamentale principio della palla costantemente giocabile ha avuto una progressiva erosione.

La prima restrizione a cadere fu quella di non poter portare la palla: Ascoltate bene la grande rivoluzione: al portiere fu concesso di fare un passo con la palla tra le mani! Logicamente, allo scopo di agevolare il calcio di respinta in vicinanza di un avversario. Ma non si dice che una lunga marcia comincia con un passo?
 
Vi sembra una piccola modifica? Una concessione ben lieve, quasi ridicola! Tuttavia, ledeva un sacro principio. Era una fenditura che si sarebbe allargata.

Questo era ancora lo stato della regola all'epoca del settimo campionato vinto dal  Genoa.

Poi i passi diventarono quattro.

Nel secondo quarto del XIX secolo, ci fu una liberalizzazione decisiva. Ora la regola diceva: il portiere può portare la palla indefinitamente all'interno della propria area di rigore, ma non può fare più di quattro passi senza lasciarla cadere a terra (drop nel testo inglese).

Cominciamo ad avvicinarci ad epoca a memoria d'uomo e parecchi di noi certo ricordano questo modo di giocare.
 
Il senso di questo nuovo criterio del drop era chiaro: al portiere si concedeva una maggiore libertà nel trasporto della palla, ma il pallone in gioco non può sottrarsi del tutto all'attacco dell'avversario, attacco praticamente impossibile mentre è tra le mani del portiere (ne parleremo), quindi doveva essere reso in qualche modo disponibile alla competizione. Dunque la palla doveva battere a terra, libera dalle mani del portiere, allo scopo di dare opportunità agli avversari di contenderla.

Dopo la seconda guerra mondiale si giocava ancora così, e prese piede allora, almeno in Italia, un'applicazione perversa della norma dei 4 passi, quando, ad esempio su terreno fangoso che smorzava il rimbalzo, si tollerava che il portiere toccasse la palla a terra trattenendola in mano, per poi riprendere la rincorsa. Per gli arbitri sembra fosse duro il capire che non era soltanto una infrazione alla lettera, ma proprio allo spirito della regola.

Quando presero sviluppo le coppe internazionali alcune squadre, tra le quali la scientifica Internazionale di Helenio Herrera fu forse la prima, cominciarono ad organizzarsi affinché la palla in mano al portiere permettesse di addormentare la partita e conservare un vantaggio facendo passare il tempo. Il portiere se ne andava a spasso nell'area di rigore, poi passava ad un terzino che dopo qualche istante gli ripassava la palla e così via.

Constatata questa tendenza, l'International Board cominciò ad emettere tutta una sequela di variazioni alla regola, che avevano lo scopo di impedire il rallentamento del gioco. Fu uno stillicidio di novità: quasi ogni anno ce n'era una. La più importante, intorno al 1970, fu l'eliminazione della possibilità di ripetere la sequenza dei quattro passi: una volta afferrata la palla, ecco che dopo non oltre 4 passi il portiere doveva spossessarsene definitivamente, senza poterla rigiocare prima di un altro giocatore. (Invece poteva trattenerla giocandola con i piedi quando non l'avesse afferrata). Fu proibita inoltre, in successione, ogni manovra del portiere che a giudizio dell'arbitro fossero intese a ritardare il gioco. In particolare, poi, fu proibito il passaggio di ritorno al portiere da parte di un compagno, eccetera. Per arrivare alla norma odierna, che elimina ogni possibilità di passaggio al proprio portiere effettuato col piede ed infine addirittura per rimessa laterale.

La regola dei 4 passi pose un problema d'interpretazione: il regolamento non diceva del caso che il portiere, presa la palla, stesse fermo. Al quesito fu data questa ovvia risposta: il portiere poteva tenere la palla per 4 passi oppure per il tempo equivalente. A questo punto avvenne una trasposizione di termini: nella pratica consuetudinaria prese piede l'idea, ingiustificata, che il "tempo equivalente" fosse di 4 secondi e questa idea, non del tutto assurda ma in nessun posto mai scritta, passò a sostituire, almeno qui, localmente, quella originaria e autentica. Quindi sui nostri campi si pensava, semplificando, così: il portiere può tenere la palla per quattro secondi. Ancora una volta ne nacque una deformazione concettuale. Si vedeva un portiere prendere la palla accosto al palo e andarsene al rinvio al limite dell'area. Contando i passi, era una palese violazione: forse solo il campione mondiale di salto in lungo avrebbe potuto farcela, senza rincorsa, a percorrere 16 metri e mezzo in 4 passi (facendosi notare); ma contando i secondi? I secondi sono un fatto meno concreto, non misurabile geometricamente, l'arbitro li può contare a suo piacimento: perché andare a cercarsi rogne? E così la pratica, ancora una volta, contraddiceva la norma.

Una piccola norma che fa da cardine a un altro cambiamento concettuale, decisa successivamente, fu la proibizione di ostacolare il portiere in fase di rilancio. Della sua importanza parleremo la prossima volta.

Questa piccola norma, leggermente modificata, rimane a tutt'oggi. Le altre sono sparite, appartengono al passato. Sul regolamento attuale non ce n'è più traccia.

Oggi il portiere, così è stato stabilito, può trattenere la palla per 6 secondi. Il numero dei passi non conta più. In pratica, può lecitamente percorrere tutti i m. 16,50 dell'area di rigore con la palla in mano, ma che faccia veloce!  L'indirizzo voluto dai Signori Legislatori sembra aver così trovato il suo finale obiettivo, a costo del completo abbandono del concetto che la palla in gioco debba essere in qualsiasi momento giocabile.

Si tratta di una rivoluzione sul piano etico.

In origine ogni giocatore in possesso di palla aveva completa libertà di scegliere il proprio modo di giocare ma nello stesso tempo non aveva alcuna possibilità di sottrarsi all'attacco dell'avversario.

Oggi abbiamo un portiere che può sottrarsi all'attacco dell'avversario ma non ha libertà di giocare la palla in modi leciti agli altri giocatori.

A livello regolamentare, il principio della palla in gioco è stato barattato con il principio della minima perdita di tempo, a cui viene riconosciuta importanza cardinale.

E' dunque particolarmente grave che questo principio della minima perdita di tempo, a cui i legislatori del calcio hanno dato tanta prevalenza, venga quotidianamente tradito, nella pratica, sotto altri aspetti.

Avremo modi di riparlarne.


Vittorio Riccadonna

 

 



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