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l'opinione'' Vecchio 'Criquet' e genoani 'nuovi' ” di voce sommessa
17/03/2008

 

Ragazzi appesi ai tram in quella Genova un po’ così, non ancora ai margini dell’economia e della politica ma già restìa a farsi coraggio di fronte ai tempi nuovi: questi eravamo negli ultimi anni del miracolo, appesi sul predellino del 39 fra le piscine e piazza Palermo, quando finalmente scendevano quelli del Nautico e via Barabino quasi libera ci dava appena il tempo di rimettere in squadra la pila dei libri stretti dalla cinghia, che quando c’era compito di greco il Rocci era un casino.

 

 

 


Questi eravamo dal lunedì al sabato, non solo sul 39 ma per tutta Genova, e non sapevamo che saremmo stati la saldatura fra gli anni forti del grande sviluppo industriale di cui allora vivevamo l’epilogo e gli anni deboli del declino.

*

Poi, una domenica sì e una domenica no, eravamo in molti a partecipare al rito del Ferraris, anche lì senza renderci ben conto che nell’ideale staffetta fra generazioni proprio a noi sarebbe toccato trasferire al nuovo secolo rossoblù le testimonianze di chi aveva vissuto sul campo le vittorie e la gloria e insieme con queste l’intensità e l’integrità di quella che oggi chiamiamo “la fede”.

*

Non mi ricordo se allora la chiamavamo così, ma la passione era profonda, disinteressata e attiva.

Senza di essa non si sarebbero attraversati anni difficili e ostacoli che subito erano sembrati insormontabili: questo tutti lo possono capire anche solo ripercorrendo le ultime drammatiche stagioni.

Era una passione che dava entusiasmo anche quando si esprimeva nelle forme della critica e della contestazione, perché in questi casi estremi ne era chiaro e condiviso il giustificato motivo.

*

La lezione di quelle domeniche lontane, che abbiamo cercato di tramandare, sta in quel farsi coraggio che per tutta la mattina avvolgeva le piazze, i sagrati, i marciapiedi di fronte alle edicole piene di titoli: “Oggi vinciamo!”.

Poi, quando i Sivori e gli Schiaffino mettevano il nostro Genoa alle corde, quando il silenzio dello stadio dava corpo al timore, ecco improvviso qua e là il grido di qualcuno che “c’era stato”: l’incitamento che veniva da lontano dava il segnale, “Alé alé vecchio Criquet!” (detto come scritto, con la “u” ben scandita) e la Nord ripigliava forza, e noi la mattina dopo sul predellino del 39 avremmo raccontato l’impresa.

*
Qualcosa però non deve aver funzionato, forse non abbiamo saputo raccontare bene la storia se ieri di prima mattina si è potuto sapere che il Genoa avrebbe perso a Firenze perché la formazione preannunciata dai giornali era “sbagliata”.

*

Genoani nuovi, questi che all’ora del caffè sanno già che chi ci crede è fesso, e che poi dopo mezz’ora di partita pieni di soddisfazione rendono noto al mondo che hanno avuto ragione, che ci fanno girare come trottole e che (sberleffo cattivo) è divertente questo Genoa coraggioso e sfortunato che a noi ragazzi del predellino invece piace, perché ci fa pensare che nel futuro prossimo si prepari qualcosa che farà sorridere quelli che anche ieri là su una nuvoletta librata sopra la Val d’Arno hanno gridato (come noi) “Alé alé vecchio Criquet!”.

 

voce sommessa

 



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"'' Vecchio 'Criquet' e genoani 'nuovi' ” di voce sommessa" | 2 commenti
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Stai visualizzando i commenti del giorno 18/03/2008


caro Voce
di Abbadie56 il 18/03/2008 13.52

il Genoa di cui parli è finito alla fine degli anni '50, con la retrocessione in serieB.
E con lui sono spiriti anche quel tipo di genoani.

C'era sintonia, a quei tempi tra squadra e tifosi. Era un Genoa che giocava all'attacco e i genoani volevano quel Genoa.
Un giocatore di quei tempi, parlando con me dell'anno dell'imbattibilità casalinga, mi disse:
"Potevamo finire in alta classifica, se solo avessimo giocato più prudenti fuori casa. Invece giocavamo sempre all'attacco, in casa e fuori, e poichè non eravamo una grande squadra, fuori perdevamo spesso. Ma se avessimo giocato diversamente, in casa non avremmo sempre vinto. Al Genoa, a quei tempi,  il catenaccio non sapevamo nemmeno cosa fosse"

Parole sacrosante! Se ai genoani degli anni '50 un allenatore avesse presentato un Genoa catenacciaro, avrebbe preso fischi per 90'.

Una domenica ero su un treno per Torino, dove ci aspettava la Juve. Io ero giovane e ascoltavo parlare un anziano genoano.
A un certo punto, se ne è uscito con questo discorso:
"Io non so cosa ne pensa lei, ma oggi a Torino vinciamo per 2 a 0.

Questi erano i genoani di una volta. Erano l'opposto di quelli di oggi. Sapevano caricare la squadra, mentre quelli di oggi la riempono di dubbi e di paure.
Ma devi tener conto che i genoani di oggi ne vengono da una vita di serie B e serie C e il nostro ambiente, oggi, è quello di una squadra di provincioa che ha visto tanta B e C da fare indigestione.
Il passato da questo punto di vista non conta niente. Conta quello che hai vissuto. E noi per una vita abbiamo vissuto male. E la mentalità viene di conseguenza.
*
Le cose sono cambiate radicalmente verso la metà degli anni '60. I successi dell'Inter catenacciara stavano facendo più danni della grandine.
Fino ad allora il catenaccio lo facevano solo le squadracce di provincia, proprio le più scarse di tutte. Negli anni '60 invece a farlo era l'Inter, che oltrettutto -grazie ad Allodi, il maestro di Moggi-  riusciva anche a vncere!!! 
Cominciò così, in Italia la co nversione di tutti al catenaccio, nonostante questo tipo di non-gioco fosse disprezzato nel mondo intero. E le nuove generazioni seguirono passivamente l'onda lunga.

In occasione dei Mondiali del '70, ricordo che al bar del mio quartiere avevo tutti i giovani contro, perchè non tifavo Italia. E a nulla serviva dire loro, che la stampa internazionale, proprio in occasione di quei Mondiali, aveva coniato un titolo a tutta pagina proprio per il calcio italiano, definito in modo netto:
"Il football dei codardi"  
per quel suo modo di rubare le partite, giocando sempre in difesa e cercando vigliaccamente di colpire in contropiede, sempre con l'aiuto di un arbitro compiacente che permetteva ai difensori italiani di commettere ogni tipo di fallo senza punirli mai.

Per fortuna ci pensò lo stellare Brasile di Pelè, squadra votata all'attacco e al calciospettacolo, a fare giustizia, mandando a casa la squadra italiana che era immeritatamente arrivata alla finale, sotto un umiliante 4 a 1.

Poi arrivò la grande Olanda, altra squadra votata al calcio d'attacco, ma non servì a nulla.
Ormai il disastro era compiuto e la convinzione che il catenaccio sia il modo migliore per fottere gli avversari è rimasta negli italiani e anche nei genoani.
*
Io sono contro il catenaccio da sempre.
Trovo che schierare difensori incapaci di giocare il pallone e messi in campo solo per attaccarsi alla maglia degli avversari e dar loro calci nelle caviglie, sia un sintomo chiaro di mancanza di dignità.
 
Quando sento dire che Torrente fermava Maradona, mi rendo conto fin dove sia arrivata la falsità dell'informazione dei nostri tempi. Tra i due non c'era nemmeno paragone, l'abisso che li divideva era incolmabile. 
Giocavano due giochi diversi, e infatti in tutti i liberi di storia del calcio, Maradona è citato, mentre Torrente non è citato da nessuna parte.
Stessa cosa si era detta per Gentile ai mondiali spagnoli.  
Tutto ciò è anche profondamente diseducativo e inculca nelle persone la convinzione che vivere fregando il prossimo, non solo  è lecito, ma è doveroso.

Ma la cosa soprendente è che noi, in Italia, continuiamo a vivere come se il resto del mondo non eistesse. Non ci rendiamo nemmeno conto che siamo gli unici a praticare un tipo di mentalità antisportiva e un tipo di gioco che è l'anti-calcio.
In questa ottica, diventa normale che in Italia, e a Genova in particolare, chi provi a giocare al calcio sia osteggiato.
Per molti, infatti, si tratta di un gioco incomprensibile.

 





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