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dalla redazioneGente da Rametta
01/10/2008

 

Anche oggi è nuvolo e l’aria è fresca, alla faccia del clima tropicale.
Va avanti così da due settimane.
E anche stasera, all’ora di cena chiudo il pc, svogliato e infastidito.
E’ da qualche giorno che non ne posso più di girare sui siti del Genoa.
C’è un clima da “Ultima Notte a Warlock”, con Figueroa e Gasperini nelle vesti di Anthony Quinn ed Henry Fonda.
Gli western mi piacciono, ma non quando a far da tiro a segno c’è il Genoa.

 


In tv sta passando un incontro di football tra Vasco de Gama –si, la squadra di Eloi, proprio così- e Ipatinga, una formazione di Minas Gerais, terra du “uai”, nonché di sertao, di galinha com quiabo, e di musica sertaneja.
Si gioca a Ipatinga e il Vasco sta perdendo 1 a 0.
Joao Pedro, tifoso del Vasco, è un po’ deluso. Segue la partita senza apparente apprensione mentre sta mangiando seduto sul divano davanti alla tv, secondo un’usanza che non è la mia.
Ha sedici anni, l’età che avevo io quando il Genoa di Frizzi, Gren e Carapellese sconfisse, all’ultima giornata, la Fiorentina di Julinho, campione d’Italia e fino ad allora imbattuta.
Storico e indimenticabile.
Suo fratello Guilherme ha otto anni, e tifa Vasco perché costretto da lui. L’ho capito subito, e mi è stato facile guadagnarlo alla causa del Vecchio Grifo, regalandogli maglie del Genoa ogni volta che arrivo qui da Genova.
Guilhermo è cresciuto in campagna –“a roça”, come la chiamano qui- fino all’età di quattro anni, e nel chiuso di un appartamento si sente prigioniero. Ama la “roça”, me ne parla sempre, si sente che è la sua vita.
- Cosa c’è che ti piace così tanto nella “roça”? gli ho chiesto una volta. Mi ha risposto che nella “roça” si sente libero, in città no. Ci sono troppe regole.
Lo capisco. Ho passato anche io i primi anni di vita in campagna, eravamo sfollati in tempo di guerra. Sono nato, infatti, una domenica di dicembre del ’39, quando era da poco scoppiata la guerra e il Genoa aveva pareggiato 2 a 2 con l’Inter di De Maria, Candiani e Ferraris II.
Poiché sono nato di mattino, posso dire con certezza che quel Genoa-Inter è stata la mia prima partita da genoano.
Ero al mondo solo da poche ore, e già il Genoa era entrato nella mia vita.
Normale, mia madre era genoana e mio nonno materno anche.

Mi faccio un panino e mi siedo anch’io davanti alla tv. Ho poca fame e tanta voglia di distrarmi. Un incontro di calcio può essere quello che ci vuole.
E poi nel Vasco c’è Edmundo, e io mi rendo conto -se ce ne fosse ancora bisogno- che nonostante tutti i discorsi che si fanno sui moduli, continuo ad essere attratto dai grandi giocatori.
E Edmundo lo è.
I commentatori tv continuano a chiamarlo pubblicamente “O animal” come se fosse normale, ma a me Edmundo sembra la classe e l’eleganza personificata, che ingentilisce l’animo per la bellezza che sprigiona. Altro che “O animal”.
Il gioco non è gran che, e io mi sorprendo con lo sguardo che distrattamente sale dal televisore verso l’alto, dove c’è Abbadie con la fascia di capitano, che mi guarda da un poster in bianco e nero che riproduce la formazione del Genoa del ’58: Barison – Viciani – Leopardi – Carlini – Frignani – Begalli, in piedi, e Franci – Leoni – Becattini – Corso – Abbadie, accosciati, da sinistra a destra.
E’ il Genoa delle mia adolescenza, che mi sono portato fin qui da Genova e che mi porterò nella tomba, perché nella vita puoi avere tutti gli amori che vuoi, ma il primo amore non si scorda mai.
Lo sanno tutti.
Improvvisamente Edmundo si smarca in area sulla destra, un compagno lo vede e gli fa arrivare il pallone.
La posizione è angolata e ci sono degli avversari che contrastano l’azione, ma “O Animal” è un goleador di razza e non si smentisce: scatto, dribbling a rientrare e diagonale imparabile.
Il Vasco fa 1 a 1 e Joao Pedro, che fino ad allora non aveva aperto bocca, va alla finestra e si mette a gridare come un ossesso.
Guilhermo ne approfitta per sgusciare in cucina e farsi un faccia a faccia col frigo. Quello che mangia questo bambino è incredibile. Ma gli va tutto in crescita, perché è alto e magro, e ben proporzionato, per la sua età.

Il gol di Edmundo è stata la cosa bella della partita. Per il resto tutto continua come prima, con un gioco che non mi prende, e con in testa il Genoa e tutto il “remescio” di questi giorni.
Maledizione, ma cosa devo fare per liberarmi da questo tedio.
Che senso ha tutto questo!
Che senso ha vivere queste polemiche viscerali, senza via d’uscita!
Il Vasco prende il secondo gol.
Mi aspetto una reazione che non arriva, e allora penso bene di uscire.
Rogeria, alle prese sull’altro televisore con l’immancabile telenovela, che a quest’ora blocca tutto il Brasile, vedendomi andare verso la porta di casa mi guarda stupita:
- Dove vai a quest’ora?
- Che ne so, faccio due passi, ho bisogno di aria libera
e mi viene in mente Guilherme quando dice che in casa si sente prigioniero.
Rogeria non capisce, ma non si scompone, la telenovela la sta interessando più delle mie fisime tinte di rossoblù.
Scendo in strada e l’aria fresca mi fa piacere. Svolto l’angolo e sono subito sulla piazza vicino a casa.
Sul campetto da pallone –da queste parti ce n’è uno in ogni piazzetta di quartiere- ci sono ragazzi che stanno giocando.
Li guardo un attimo e mi chiedo perché mai non sono lì anch’io a tirare quattro calci, che è sempre la cosa più bella del mondo. Maledetta età.
Anche se giocano in un campetto a “cinque”, mi sembra di vedere il Genoa di Gasperini: il pallone è sempre a terra, passaggi tutti di prima, e l’azione comincia sempre col portiere che passa la palla al difensore meglio piazzato.
Vado oltre.
In piazza c’è un sacco di gente. Qui nessuno sta in casa di sera.
Quattro o cinque persone di mezza età, in un angolo della piazza, stanno suonando con la chitarra musica popolare brasiliana, e qualcuno canta con molta passione.
Donne e ragazze, piene di bambini piccoli, stanno chiacchierando, mentre i bambini si rincorrono giocando.
Dai bar arriva il suono di risa e discorsi, fatti davanti a tavolini pieni di “cerveja gelada”, come piace qui. Roba che se, rimanendo lì, prende un po’ di temperatura, non la vogliono più, e ne ordinano un’altra ghiacciata di frigo.

Mi lascio portare dalle sensazioni, giro a vuoto, non penso a niente e soprattutto non voglio pensare al Genoa, quando improvvisamente davanti agli occhi, in quel grande spazio, mi si materializza un angolo di piazza De Ferrari.
Sono a diecimila chilometri da Genova, ma piazza De Ferrari incredibilmente è qui, davanti a me.
E curiosamente, non è la piazza De Ferrari di adesso.
E’ quella della mia adolescenza.
Vedo Franceschin, alto, capelli neri ondulati e baffetti alla sudamericana, il primo genoano della Rametta che avesse colpito la mia immaginazione quando ancora bambino passavo di lì alla domenica pomeriggio, con i miei genitori, dopo la partita, e c’era sempre un sacco di gente che discuteva vicino all’angolo dei portici dell’Accademia.
Erano gli ultimi anni ’40, o l’inizio dei ’50.
Piazza De Ferrari brillava di insegne luminose dai mille colori, in cima al palazzo del Secolo XIX –da dove nell’estate del ’68, la famosa “estate degli spareggi”, avrebbero poi trasmesso le partite del Genoa con un impianto di fortuna, davanti ad una piazza piena di genoani in ansia, tanti da ostacolare il traffico- scorrevano le notizie con scritte luminose, come io avevo visto solo nei film americani, nel cinema del mio quartiere.
E nell’angolo del Carlo Felice verso il palazzo dell’Accademia, c’era in alto, un tabellone dove tutte le domeniche un addetto andava a inserire i risultati delle partite, arrampicandosi su una scala, con la gente in piazza tutta girata a testa in su, in attesa delle notizie.
Ma chi era quella gente?
- E’ l’angolo della Rametta –mi spiegò mio padre- dove gli innamorati si davano gli appuntamenti nel primo novecento. Adesso ci sono i genoani, gli innamorati del Genoa.
Parole piene di fascino, che non ho più dimenticato.
Quella gente, gente da Rametta, era diventata subito la mia gente.
Non so come e perché, fa parte dei misteri della vita. Meglio accettarli che cercare banali spiegazioni di comodo.
Ecco Mauro di San Vincenzo, che prima degli incontri decisivi –come al solito per non retrocedere o per inseguire una promozione- spariva perché aveva sempre una cabala speciale da fare per il bene del Genoa.
E “Loi”, genoano di Sampierdarena, che teneva la bandiera del Genoa sul terrazzino tutto l’anno “sulla faccia del nemico”, come sottolineava orgogliosamente.
E si spendeva un capitale in bandiere, perché spesso di notte gliela strappavano, e lui il giorno dopo era già lì a piazzarne un’altra ancora più grande:
- I fassu muì -diceva con grinta- mi sun de quelli che nu mollan mai!
E Cossolino, sempre elegantissimo, giacche di Pescetto e camicie di Finollo, che aveva visto il Genoa degli ultimi scudetti e che a noi giovani diceva:
- Ma perché siete genoani? Noi abbiamo visto vincere degli scudetti, ma voi cosa state vedendo? –e poi concludeva amaro- questo non è il mio Genoa!
E Enzo di Bogliasco che aveva giocato nei ragazzi del Genoa alla fine degli anni ‘30, guai a toccargli Abbadie: “il più grande di tutti” gridava convinto e poi magnificava le doti di un altro grande uruguagio, il mediano Figliola “Che u fava gol de testa da u limite dell’aia, e u piccava cumme un ferra!”. E diceva che Neri e Conti erano state le più forti ali che aveva visto nel Genoa.

Quanti ne ho conosciuto nel corso della vita, e li ricordo tutti, uno per uno.
Belli, fieri, genoani. E irriducibili.
Adesso di loro non c’è più nessuno. Ma io, forse più ancora che allo stesso Genoa, devo a loro il mio attaccamento al Vecchio Grifo.
Mi hanno trasmesso una passione forte e genuina come le cose di famiglia, intensa come lo sono solo i grandi amori, che mi ha accompagnato tutta la vita.
Ecco, adesso come per incanto le cose riprendono un senso.
Il “mio” Genoa non è quello di queste polemiche infinite, che mi tediano e mi consumano, ma è quello di quei genoani che mi hanno trasmesso la passione.
Gente da Rametta, gente da Genoa senza se e senza ma.
Ed è in quella direzione che io devo andare. Il resto passerà. E comunque non deve interessarmi.
Adesso sono rasserenato.
Prima commosso e poi rasserenato, e posso anche tornare a casa.
Chissà se il Vasco sarà riuscito a pareggiare?

Franco Venturelli

 

 



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"Gente da Rametta" | 2 commenti
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Ricordi
di vieux_marcheur il 02/10/2008 14.30

Una descrizione che è anche una pittura!

Già, non c'è da meravigliarsi.

 





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