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l'opinione" Il calcio di 'come eravamo' '' di Franci
04/05/2010

Appartengo alla generazione - forse l'ultima - di coloro che hanno imparato a giocare a pallone per strada. In un certo senso, "meninhos da rua" calcistici, il cui privilegio consisteva nell'avere un paio di scarpe e nel fatto che, in strada, l'intruso erano le auto e non noi. Se la mamma voleva un po' più di sicurezza, allora nel campetto dietro la chiesa dei frati, pagando il pegno di dover poi indossare la cotta del chierichetto alle novene di questo o quel santo o di chi stava anche più in alto.

 


Ce l'avevamo nel sangue, il calcio. Ce ne eravamo svezzati al pari del biscotti Mellin, quelli contenuti nelle scatole di latta, e poi cresciuti inzuppando il nostro immaginario nel latte dei filmati della Settimana Incom prima che iniziasse la "pellicola" o nei primi resoconti che ci mandava la televisione o, ancora, nei racconti, questi spesso da scremare e non solo parzialmente, dei grandi. Gli ultimi palpiti di un neorealismo pallonaro in cui la parte dell'attore non professionista toccava, ad esempio, alla Irma, la domestica ferrarese e dunque tifosa della SPAL, che un lunedì mattina, dopo un mortificante 0-3 casalingo con tal Morbello a fare il maramaldo con una tripletta, mi prese tanto in giro che, per protesta, rifiutai di toccare la colazione che aveva preparato mentre cazzeggiava su quei tre gol. O il contesto scenografico era aspettare il sabato mattina per accompagnare papà dal barbiere e mettere così mani ed occhi sulle copie de Il Calcio Illustrato, appilate con noncuranza sul tavolinetto al centro del salone "Da Gino - Parrucchiere per uomo".

Ce l'avevamo nel sangue e nessuno, almeno fino ad un certo punto, ci ha insegnato nulla. Eppure, da quel campetto dei frati, ne è uscita una mezza dozzina di gente che ha poi calcato campi anche illustri del dilettantismo ligure, qualcuno addirittura più su. Come sfogliassi le pagine di un personale almanacco, mi passano dinnanzi agli occhi i volti di tanti compagni-eroi, guerrieri di una Iliade incruenta, ad onta dei lembi di pelle lasciati su quella terra polverosa. Camillo, che per il fatto di essere figlio della perpetua, aveva forse iniziato troppo presto ad occuparsi del vino da mettere nell'ampolla per la Santa Messa ed ha finito col pagare cara, ancora piuttosto giovane, la sua...devozione. Lui, che aveva un dribbling secco ed un sinistro che, dicevano gli anziani, ricordava per potenza Levratto; lui, che quando un suo tiro incocciava nella traversa metallica, ne rimandava un suono - tennnn - che durava secondi come quello dei campanelli dei monaci tibetani e pareva propagarsi lungo il Polcevera; lui, che quando si organizzavano le sfide, quasi sempre tra parrocchie, ci si sentiva in dovere di avvisare il portiere: "guarda che di là gioca Camillo...". O Lucianino, compagno sin dalle elementari, velocissimo, cannoniere implacabile in tutti i tornei cui si partecipava e destinato invece a diventare, anni dopo, per lungo tempo ottimo terzino nell'allora rinomata compagine del Gruppo C.

O ancora Guerrino, anche lui purtroppo ormai ex di questa compagine terrena, di cui non si poteva dire fosse matto come un cavallo per il solo fatto che era piuttosto matto come un'intera mandria di mustangs selvaggi e dunque destinato al ruolo di portiere. A causa del quale perdemmo un torneo sul campo del Don Bosco perchè, nella sfida decisiva, subì una rete incredibile. Un innocuo rinvio della difesa avversaria, senza pretese, tanto che neppure guardammo e volgemmo le spalle per portarci in avanti in attesa del rilancio finchè non udimmo mormorii e risate del pubblico e, voltandoci, assistemmo impotenti ad una scena tragicomica: lui che cercava disperatamente di liberare i tacchetti della scarpa rimasti incastrati nel tombino a grata piazzato nell'area di rigore (chi ha disputato o assistito a partite del Rottigni-Marchisotti lo ha di certo presente) mentre la palla, rimbalzando lemme lemme, si stava insaccando beffardamente. La scena fu così comica e surreale che neppure riuscimmo ad arrabbiarci e, per anni, ne parlammo ridendoci su.

Ma nessuno, nessuno, ci aveva insegnato qualcosa. E quando, più grandi, il solito zio o vicino di casa iniziò a portarci a fare provini per questa o quella squadra, le regole fondamentali di come si gioca a football le avevamo tatuate dentro. Ora ci sono le Scuole calcio. Non mi riesce di non pensare a batterie di allevamento. E guardando in televisione i Mondiali Under 17 o Under 20 non posso fare a meno di chiedermi, con sgomento, cosa insegnino lì. Come mi accade di chiedermi ad ogni partita cui assito dagli spalti di uno stadio o seduto su un divano. Mi chiedo se insegnare a fare la "diagonale" - neanche noi non la facessimo! Solo che a noi era l'istinto, il senso dello sviluppo naturale del gioco che ci diceva quando occorreva fare la diagonale - debba per forza implicare il totale abbandono di quel paio di regole fondamentali, imprescindibile bagaglio di un difensore. Ad esempio, le braccia larghe, bene in vista, a mostrare all'arbitro che non mi sto appoggiando all'avversario. Quando oggi le riprese televisive mostrano replay di mani in un convulso agitarsi che ricordano le scaramucce per cercare di infilarsi sotto le gonne delle ragazzine che, restie, cercavano di trattenerle in tutti i modi possibili o rimandano immagini al rallentatore su corners o punizioni di scene rubate al wrestling...Ma quello chi è? Hulk Hogan? e quello? John Cena?

Per non dire delle rimesse laterali, ormai autentiche riedizioni dei lanci della sfera in memorabili sfide a palla avvelenata ai giardinetti. Con tanto di saltino, come quello con cui Joe Sentieri concludeva le sue esibizioni, o gamba sollevata a squadra come solo sanno fare i cavalli perfettamente addestrati del Cadre Noir di Saumur. Non c'è verso di vedere un contrasto aereo senza che, nel ricadere, uno dei due crolli a terra tenendosi il volto. Eppure il colpo di testa è nato col calcio stesso, non è una recente innovazione. Non mi ci raccapezzo più, in questo calcio. E a chi invoca la moviola in campo, io grido a squarciagola: via la moviola anche dalle tv! "Si vede che c'è contatto...". E quindi? Siccome c'è contatto è rigore automaticamente? Ma brutto analfabeta del calcio, lo sai che il contatto è previsto, al punto che è addirittura regolamentato? E poi, cosa significa che c'è contatto? Se mi avvicino in area ad un avversario e lo bacio appassionatamente, hai voglia del contatto! Cosa fai, gridi al rigore?

Per non parlare della terminologia impiegata dalla nouvelle vague dei telecronisti. Dalla sciabolata, che per sua - di chi cioè ha eseguito il colpo - e nostra sfortuna, "non va" ai rimorchi; dai sombreri alle cilene, dallo scavetto allo sverniciamento (?) dell'avversario, passando attraverso il "tè caldo" dell'intervallo che, come d'incanto, proietta immagini virtuali dello spogliatoio del Craven Cottage londinese quasi fosse una sala da tè di New Bond Street attigua a Sotheby's. E che dire degli scarpini? Quanti calci nel didietro gli mollerei, per fargli sentire quanto sono "scarpini"...

Da Carosio a Caressa... Il degrado coinvolge tutto il mondo del calcio.

Non lo reggo più, questo calcio, ed i canoni che lo reggono.

Mi capita assai di rado di passare dove c'era il campetto dei frati: quando accade, non posso non buttare un'occhiata carica di nostalgia ma subito distolgo lo sguardo. Ora è diventato un parcheggio. Anche le opere di bene dei frati necessitano di sostegno. Eppure uno de icardini dell'ordine francescano è la povertà. Si vede solo in senso figurato... Vedo e non vorrei vedere. Risento il suono della traversa colpita da una staffilata di Camillo, rivedo tante cose e tanti volti. ma vedo, soprattutto, dei SUV. Ed è una pugnalata. Anzi, di più: una sciabolata.

E proprio "non va"...

Franci

 

 



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"" Il calcio di 'come eravamo' '' di Franci" | 1 commento
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Franci
di RABAX il 05/05/2010 08.02

troppo bello, troppo vero.

Scusami se non mi dilungo, ma forse è meglio perchè probabilmente ripeterei, purtroppo non con la tua prosa, cose molto simili, a cominciare dal "Mellin", vissute a partire dall'infanzia.

Grazie!





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