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l'OspiteDomenica 5 marzo 1911: pugni, carrube e scommesse
05/03/2011

 

   Cento anni fa il Genoa si schierò per la prima volta nella sua storia a Marassi come società ospitante nel derby con l’Andrea Doria. Teatro dell’incontro, che ebbe il suo fischio d’avvio alle ore 15,10 del 5 marzo 1911 da parte del socio della Juventus (all’epoca gli arbitri erano tesserati di un club «terzo») Umberto «Neiret» Malvano, fu il campo sito nella zona meridionale dell’attuale area dello stadio (in cui il Genoa aveva giocato, a partire dal 22 gennaio 1911, tre incontri di Campionato e due settimane dopo avrebbe disputato e vinto per 3-0 l’ultimo con la Juventus prima della «rotazione di 90°», che, a partire dal 14 maggio dello stesso anno, fece avere al terreno di gioco l’attuale disposizione).

 


   Le formazioni delle due rivali cittadine furono le seguenti: Genoa: Marchetti; Murphy, Storace; Bauer, L. Ferraris, Herzog (cap.); E. Mariani, Dawis, Hurni, Crocco II, Gossweiller II; Andrea Doria: Lanata; Leporati, Calì I (cap.); Klussman, Galletti I, Baglietto; Griffini, Ansaldo, E. A. Santamaria I, Giordano, C. Sardi I.

 

   Da quando nel 1907 l’Andrea Doria era riuscita ad eliminare i blasonati avversari e a rappresentare la Liguria nel Girone Finale del Campionato Italiano si era capito che il gap tra la gloriosa «multinazionale» italo-elvetico-britannica e la sua autoctona rivale cittadina era stato colmato e i derbies di Genova si giocavano ad armi pari. Le due squadre rappresentavano le due diverse anime della città: quella liberale era incarnata dal Genoa, una squadra portata al calcio-spettacolo, ma segnata negativamente dallo scarso amalgama tra i reparti, quella nazionalista dall’Andrea Doria, una formazione molto forte dal punto di vista atletico e ben disposta tatticamente. Tra i ventidue in campo non mancavano i giocatori di notevole spessore tecnico, quali l’inglese Murphy, gli svizzeri Eugen Herzog ed Hermann Friedrich «l’ebreo errante» Hurni e l’italiano Edoardo «Dino» Mariani (l’anno dopo sarebbe stato il primo genoano a vestire la maglia della Nazionale Italiana) nelle fila del Genoa, e l’ex capitano dell’Italia nel 1910 Francesco «Franz» Calì I, Carlo Galletti I (due anni dopo in maglia azzurra) e soprattutto «i gemelli del goal» Emilio Aristodemo «Maja» Santamaria I e Celeste «Enrico» Sardi I in quelle dell’Andrea Doria. Lo «spirito del derby», per antonomasia incontro per «uomini duri», era incarnato tra i rossoblù da Luigi «il Nazareno» Ferraris e tra i blubianchi da Ottavio Baglietto: essendo entrambi di simpatie politiche nazionaliste, il secondo… era molto avvantaggiato nella disponibilità di bersagli da colpire! Come è noto, «i gemelli del goal» doriani sarebbero passati nel 1913 (con tutte le conseguenze del caso – squalifica biennale, poi amnistiata dopo uno – per aver ricevuto quel compenso pecuniario che le norme dell’epoca vietavano) al Genoa, con cui avrebbero conquistato tre titoli nazionali; non sarebbero stati gli unici dei ventidue giocatori scesi in campo quel giorno a poter raccontare a fine carriera di aver militato nelle due maggiori società calcistiche della Superba: nella formazione rossoblù c’era il portiere Luigi Marchetti (passato quell’anno al Genoa dopo un lustro nell’Andrea Doria), in quella blubianca i due terzini Pio Leporati e Calì I avevano disputato un campionato ciascuno (rispettivamente quelli del 1907 e del 1901) nelle fila del Genoa; l’anno successivo Hurni sarebbe passato all’Andrea Doria per restarvi solamente un anno.

 

   Dopo gli iniziali attacchi rossoblu, la partita prese una piega favorevole all’Andrea Doria; al 21’ del 1° tempo Ettore Griffini con un traversone intercettato solamente un attimo da Marchetti bissò la rete segnata nove minuti prima da Sardi I, che aveva approfittato di una maldestra uscita del portiere genoano su un cross di Giuseppe Giordano. Durante l’intervallo, in un clima reso incandescente dalle scommesse fatte dai sostenitori delle due squadre, che assommavano ad oltre 10.000 £ (circa un terzo della cifra che era costata al Genoa l’edificazione dell’impianto, che quel giorno ospitava circa quattromila spettatori), si accentuarono le scazzottate, che erano iniziate dopo la prima rete degli ospiti, tra tifosi del Genoa e dell’Andrea Doria e che sarebbero riprese verso la fine della partita, mentre i rossoblù, dopo aver accorciato le distanze con Hurni, abile a deviare in rete a cinque minuti dal termine un traversone di Herzog, tentavano inutilmente di riequilibrare le sorti dell’incontro. L’elettricità presente sugli spalti si trasmise in campo e, dopo la concessione di un calcio d’angolo al Genoa, Ferraris venne alle mani con l’ex compagno di squadra Leporati, in compagnia del quale venne espulso da Malvano.

 

   Sul settimanale milanese Lettura Sportiva nella sua rubrica sul campionato di calcio che in quell’occasione si intitolò Palla al calcio, pugni e scommesse il redattore Ermete Della Guardia scrisse: “A Genova s’è preferito andare per le spiccie [sic!], ed il pubblico, risparmiando i giocatori s’è spassionatamente ed entusiasticamente accapigliato e preso a ceffoni a più riprese, sì da richiedere l’intervento della Benemerita e dei provvidenziali rappresentanti della legge e della forza! Tutto questo vi par poco? Mi si venga ancora a dire che oggi in Italia non sussiste una vera, intensa passione per il foot-ball. Quando un pacifico cittadino invece di far tranquillamente, pipa in bocca, la sua meritata siesta meridiana, si prende la briga di correre e giungere trafelato alla pélouse preferita, quando un tale nell’interessamento d’una partita difende strenuamente, a qualsiasi costo i propri poulains e per essi scambia magari col vicino oppositore due epiteti e… tout court quattro schiaffi; quando un Tizio giunge a metter a serio repentaglio l’incolumità del suo corpo e della sua bombetta, non badando neppure all’attivo e [al] passivo dei pugni dati e ricevuti… ebbene, mi si lasci dire a gran voce che quel cittadino, quel tale o quel Tizio che sia, ha col sacrificio generoso della sua persona compiuto tutto quanto stava in sé per la santa causa del foot-ball ed ha pagato il suo tributo ai piedi del grande altare dello sport. A maggior ragione poi se del certame sportivo n’è uscito un po’ malconcio per le busse toccate, e per le… poche somministrate. Ma sui gusti del pubblico di accapigliarsi non si discute. […] A Genova nell’ultimo match tra Andrea Doria e Genoa [Cricket and Foot Ball] Club sono corse tra il pubblico delle scommesse per la rispettabile somma di circa 10.000 lire.”.

 

   L’interpretazione delle scommesse come causa principale degli scontri tra le due tifoserie adombrata da Della Guardia ed esplicitamente suggerita da altri articolisti non trovò d’accordo il presidente del Genoa, Edoardo «Dadin» Pasteur I, che vide pubblicata dal quotidiano genovese Caffaro una sua lettera quattro giorni dopo la disputa dell’incontro. Il massimo dirigente di nascita genovese e di cittadinanza svizzera raccontò il famoso episodio delle carrube, che tanto ci fa sorridere oggi (anche perché senza la sua spiegazione ce ne sarebbe ignoto il negativo valore simbolico), ma che venne da lui interpretato come un pericoloso segnale di degenerazione dei comportamenti dei tifosi: “Noi non crediamo che i disordini siano stati provocati da grosse scommesse, come affermano diversi giornali, ma bensì [sic!] invece da maleintenzionati, che, confondendo il teppismo collo sport, non hanno ancora imparato che prima di tutto sulla bandiera dello sport sta scritto «educazione!». E non fu certo educato e cortese quel signore che, credendosi mascherato da villano, finita la partita, si lanciò nel nostro campo di giuoco col suo canestro a seminar carrube, ciò che in genovese significa seminar botte. Ed i suoi colleghi lo portarono in trionfo!!! Se quel Tizio fa parte di una Società sportiva è indegno di appartenervi, qualunque essa sia, perché, oltre ad «educazione!», sulla bandiera dello sport sta scritto «rispetto ai vinti!».”. Il giorno dopo Zaccaria Oberti, presidente dell’Andrea Doria, respingeva le accuse che il collega non aveva esplicitamente rivolto alla tifoseria doriana (excusatio non petita…), affermando che semmai erano stati i genoani a creare i primi tumulti dopo che la loro squadra del cuore era passata in svantaggio, quando avevano apostrofato l’arbitro (quello stesso che il 18 febbraio dell’anno successivo non avrebbe trovato di meglio da rispondere a Murphy, che protestava per la mancata concessione di un evidente calcio di rigore contro la Pro Vercelli, campione d’Italia e rigorosamente autoctona: “Bisogna essere italiani per vincere qui!”) per la sua direzione di gara da loro giudicata poco equanime con l’epiteto di «camorrista».    

 

 

 Stefano Massa

 

 

Immagini del derby vinto dall'Andrea Doria per 2-1:

 l'arbitro Umberto Malvano della Juventus con i capitani Eugen Herzog e Francesco Calì;

i due portieri, Luigi Marchetti del Genoa e il mastodontico (oltre un quintale di peso) Enrico Lanata del Doria;

un attacco dell'Andrea Doria.

 

 

 

 



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