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dalla redazioneChiediamo i danni?
05/03/2011

 

A proposito della polemica di questi ultimi giorni...

 

 


mi permetterei far notare che emergono alcune "semplificazioni", fors'anche "banalizzazioni", che sono abbastanza difficili da condividere.

La prima sarebbe che il 99% dei genoani veda la stessa partita.

Non ne sarei tanto sicuro e ridurrei quel numero davvero alla grande e non è certo una critica, ma solo una constatazione.

La seconda è che al Di Vaio genoano fosse, sistematicamente, chiesto di fare il “terzino”.

Premesso che lo schema preferito dal Gasp era ad una sola punta centrale, dubito ci fosse  qualcuno che in allora avrebbe preferito l’impiego di  Di Vaio al posto di Borriello e l'anno dopo di Milito.

Giustamente qualcuno fa notare per il Di Vaio bolognese che una partita (quella di Torino con la Juve) , pardon una rondine non fa primavera, ma credo che lo stesso discorso vale per il Di Vaio genoano e, se si vuole per  Palacio.

Per il primo, strumentalmente, si cita sempre la partita con il Milan per l'altro quell’esterna con l'Atalanta.

Non credo solo a mio avviso, vero è, invece, che nel calcio moderno tutti i giocatori devono partecipare al collettivo e dare una mano alla squadra.

Troverei, semmai, più pertinente  la tesi dell'amico Vittorio che imputa al Gasp una eccessiva rigidità di schemi, troppo affezionato al suo con la difesa a tre.

Ho sentito, però, dire più volte dal Gasp che con quel modulo aveva ottenuto i suoi migliori risultati e non se la sentiva di cambiarlo.

Difficile dargli torto, non mi sembrerebbe neppure giusto, in via generale, pretendere che un'altro ragioni con la nostra testa.

Più facile e logico, come ha fatto il Prez, cambiare allenatore per provare a sperimentare altre strade.

Personalmente del Gasp ho apprezzato e non poco quelli che per altri erano i suoi maggiori difetti.

Mi piaceva il suo credo di giocare sempre la palla con il compagno più vicino, mai lanci lunghi alla viva il parroco che per lo più non producono niente di buono e mettono solo in difficoltà il proprio attaccante, la preferenza per giocatori, anche difensori, bravi a costruire e che sapessero stare bene in campo e leggere la partita, alla Juric per intenderci.

Forse è stato questo il segreto per cui molti osservatori nazionali hanno per anni esaltato il bel gioco messo in mostra dal Genoa.

Mi piaceva poi quella sua mentalità vincente di voler  scendere in campo per provare a vincere, anche rischiando, ovviamente, ed  andando incontro, a volte a sonore batoste, ma sempre con l'orgoglio di non essere mai condizionati né succubi di nessuno. 

Consideravo un presupposto fondamentale per gli eccellenti risultati che sono poi arrivati quel  suo modo di costruire e mantenere l'armonia nel gruppo, a volte anche con sacrifici dolorosi che magari non tutti capivano.

Ero tra quelli che amavano chiamarlo Gasperson ed avrei voluto che lo diventasse veramente.

Mi piaceva, infatti, quella sua, spesso malcelata, ritrosia per la politica dell’acquisto di giocatori a vagonate, magari a vanvera.

Lui chiedeva, non penso pretendesse, che si seguissero priorità e criteri ben precisi (ricordiamo tutti il famoso …" ma sarà meglio di Milanetto?") mirati a costruire una squadra ben equilibrata e non magari di 11 fenomeni o quasi, ma non assortiti troppo bene.

Sicuramente nelle scelte ha anche commesso errori, ma quello mi sembrerebbe il metodo migliore per costruire  e mantenere nel tempo una buona, magari un'eccellente squadra.

Mi piaceva, infatti, a questo riguardo, il suo poco aziendalistico desiderio d’alzare sempre l'asticella per l'ambizione di ottenere risultati sempre migliori (pro domo sua?).

Temo, meglio penso, sia stato proprio questo suo "difetto", più di altri, la causa principale che lo ha portato in rotta di collisione con il Prez .

Preziosi da buon imprenditore, ama, invece, abbastanza di più le plusvalenze (sempre siano il "mezzo" e non il "fine") e, probabilmente, si sentiva  abbastanza limitato ed infastidito dai frequenti "veti" a comprare e, soprattutto, a vendere di quel suo dipendente che, per giunta, comprendeva  essere tanto amato dalla maggioranza dei tifosi rossoblù.

Adesso si è voltata pagina, si sperimentano nuove strade.

Per quello che mi riguarda non ho prevenzioni di sorta, anzi.

Nessuno su questa terra  è insostituibile, di più non escludo che dopo diversi anni un po' di rinnovamento non possa che dare nuovi stimoli e rinnovati entusiasmi.

Certo che non mi sogno neppure di chiedere danni a chicchessia, tanto meno al Gasp.

Mi tengo stretti i miei bei ricordi restando, invece, riconoscente per il bel periodo che, in primis il Presidente, ma anche Gasperini ci ha regalato stando con noi in questi cinque anni.

Buon week end.

Giancarlo Rabacchi



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"Chiediamo i danni?" | 5 commenti
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Stai visualizzando i commenti del giorno 06/03/2011


Troppo bravo
di vieux_marcheur il 06/03/2011 12.45

Grazie, Abbadie, ricambio con una frase che lessi.

Pozzo disse di aver escluso il grande Bernardini perché troppo bravo.

(Naturalmente da interpretarsi nel senso che dici tu).

 



quali danni?
di voce-sommessa il 06/03/2011 10.39

Voglio ringraziare chi mi ha fin qui preceduto per come ha “argomentato calcio”: una lezione magistrale che Adamoli non potrebbe leggere senza vergognarsi un po’.

 

Il passaggio di Gasperini al Genoa ha segnato un’epoca, nella quale “l’affare Di Vaio” per me è del tutto trascurabile: un giocatore non più giovane che appariva in declino, ceduto anche perché “obiettivamente” chiuso nel ruolo di punta centrale e poco flessibile in un assetto di gioco che invece è fondato proprio sulla flessibilità.

 

Qui non so se si tratta di “modernità” o meno: quello che a me è parso chiaro è che Gasperini  applica criteri di ottimizzazione nell’uso delle risorse studiati in discipline tecniche e scientifiche che nel calcio sono  poco frequentate.

Si tratta di un argomento intrigante ma purtroppo da addetti ai lavori; dico solo che in questo modo si possono spiegare alcune caratteristiche del suo calcio:

  • l’efficacia nella gestione tattica della partita
  • la valorizzazione in termini di rendimento globale di giocatori non di prima fascia nel loro ruolo di elezione
  • l’efficienza nell’utilizzo in corsa della panchina
  •  la continuità nella dinamica agonistica, testimoniata dai numerosi finali vincenti
  • l’equilibrio  fra la fase difensiva e quella offensiva, testimoniata sia dai risultati (quinta miglior difesa nel 2008-2009, sesto miglior attacco nel 2009-2010) sia dalla modesta incidenza delle reti subite in contropiede in rapporto ai quelle segnate
  • la pressione esercitata sull’avversario spesso costretto ad un fatale dispendio di energie.

Naturalmente tutto questo si è visto a fasi alterne, ma in misura sufficiente a far pensare che Preziosi abbia mancato il “colpo senza nome” quando nella primavera del 2009 si erano create le premesse per tentare il balzo fra le stelle.

 

Tutto ciò porta a dire che l’articolo all’origine di queste nostre considerazioni è quanto di più lontano dalla realtà dei fatti si possa immaginare.

Che sia comparso sotto un titolo a tutta pagina si spiega solo con le categorie della meschinità, del livore e dell’incompetenza.

Questo  per quanto riguarda la cronaca giornalistica; per quanto riguarda le opinioni e gli opinionisti portati come pretesto il mio giudizio è questo: autoreferenziali ex genoani.



caro Vecchio Marciatore
di Abbadie56 il 06/03/2011 05.46

 

ti voglio bene per come parli di calcio.

Ho avuto l'occasione, anni fa, di leggere su vecchie riviste d'anteguerra trovate per un caso fortunato (ma io cerco sempre...), la storia, partita per partita, di come si è evoluto il gioco del calcio in Italia, scritta da chi è stato protaginista, vedi giocatori e allenatori, e da chi l'ha vissuta da osservatore, leggi grandi giornalisti (che a quei tempi in Italia non mancavano)

In uno dei tanti interventi scritti da Vittorio Pozzo (non so come la pensi tu, ma per me una grande persona, oltre che un grande uomo di calcio), l'allenatore che ha dato all'Italia i massimi splendori calcistici segnando un intero decennio di prestigiose vittorie (gli anni trenta) a un certo punto afferma che sentiva di aver trovato la squadra base e che da allora in poi ben poco avrebbe cambiato, limitandosi allo stretto indispensabile dettato dalle necessità.
Subito dopo aggiunge però che non era detto che i giocatori della nazionale fossero i migliori in Italia, anzi lui non escludeva che a livello individuale ce ne fossero anche di più bravi, ma la cosa che a lui interessava non era mandare in campo un campionario dei migliori giocatori italiani, ma una "squadra": E ribadisce che non voleva fare una mostra dei migliori giocatori, ma voleva fare una "squadra", cioè un qualcosa che avesse un'anima.
E su concetto di "squadra" in opposizione a "un insieme dei migliori giocatori",  insiste, facendo riferimento soprattutto allo spirito del gruppo e alla capacità dei giocatori da lui scelti di stare bene insieme.
Che è un in linea con quello che dici tu.

E' interessante constatare quante critiche anche feroci abbia dovuto subire Vittorio Pozzo nei primi anni in cui stava costruendo la squadra, specialmente con riferimento ai giocatori da lui esclusi e a quelli scelti.
Pensa che per la scelta di dare una maglia da titolare a Meazza, Pozzo era stato stato messo persino alla berlina. E Meazza era stato criticato e deriso.  Lo racconta lo stesso Meazza, di suo pugno, insistendo sul particolare rammarico che la cosa gli diede, perchè alla partita del suo esordio era presente sua mamma, che soffrì terribilmente per tutti i 90' nel sentire deridere il figlio.
Stiamo parlando dell'allenatore che ha vinto due Mondiali consecutivi e del più grande giocatore italiano di tutti i tempi..... Dopo sole tre partite, alla quarta, sul campo dei "maestri" magiari Meazza avrebbe messo a segno i primi tre gol dello strepitoso successo del'Italia, che vinse 5 a 0! Un fatto leggendario, che consacrò una leggenda del calcio: Meazza..

Nei momenti più importanti Pozzo reagiva con l'isolamento. In occasione di partite particolarmente sentite, portava i giocatori in rititro in posti isolati in modo da metterli al riparo dalle critiche cui era soggetto.
Pozzo, in realtà, aveva una sua idea e voleva lavorare su quell'idea nonostante i contrasti che incontrava.

Chi dice che gli allenatori non servono a niente, evidentemente non conosce la storia del calcio.
Non dico che non capisca di calcio, sono due cose diverse. Dico che non conosce la storia del calcio.
Senza la creatività degli allenatori, le squadre giocherebbero ancora con lo schema a "Piramide" di fine ottocento. 
Lo schema a "W" o "Metodo" usato da Vittorio Pozzo, il "WM" o "Sistema" inventato da Mr. Chapman nell'Arsenal, il "Verrou" ("Catenaccio") detto anche "Mezzo-Sistema", inventato da Karl Rappan nel Servette,  il 4-2-4 del Brasile di Flavio Costa al Mondiale del '50, il "WW" della grande Ungheria allenata da Sebes col centravanti arretrato e le due mezzali in attacco, il 4-3-3 creato da Telè Santana nel Fluminense negli anni '50 e poi adottato dal Brasile con l'ala sinistra Zagalo che tornava a centrocampo, e poi tutto il resto che abbiamo visto dal '70 in poi con la "rivoluzione" degli "Olandesi", tutto è nato per mano di allenatori capaci che hanno modificato il modo di giocare al calcio.

Tornando a Vittorio Pozzo prima di chiudere, un altro passaggio interessante è quando si sofferma a riflettere che non sempre si possono portare avanti le proprie idee con rapidità perchè ci si scontra con la realtà.
Ma lui non è tipo che si arrenda.
"Tutto sta nel cedere solo momentaneamente -scrive di suo pugno- nel non dimenticare, nel tornare alla carica non appena le circostanze lo permettano. Qualcuno la chiama testardaggine. E' semplicemente costanza e fede nelle proprie idee."

abraços





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