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dalla redazioneIl significato latente
17/03/2011

 

                   (nell’occasione della ricorrenza della Unità parziale)

 

 

Italia contro Inghilterra: i primi incontri furono storici, quasi epocali.

 

Partite estremamente dense di contrasti tecnici, tattici, atletici, comportamentali, da civiltà calcistiche separate e reciprocamente poco note.

 

Partite su cui ci sarebbe ancora oggi da chiosare a fiumi.

 

 

 


Un fenomeno che durò pei primi quattro incontri. In seguito, il fascino dell’ignoto venne inghiottito dall’universo calcistico unitario.

 

Il quarto incontro della serie ebbe luogo a Torino nel maggio 1948 e presentò agli italiani un fatto nuovo prima ancora dell’inizio della partita.

 

Possibile, direte, un fatto nuovo senza giocare? Erano vestiti in modo strano? Avevano i capelli tinti? Erano molto alti oppure troppo bassi?

 

Niente di questo, eppure fu una grande sorpresa.

 

Le squadre entrarono in campo disposte in due file indiane, dietro agli arbitri, e, sentite sentite, non di corsa, ma al passo!

 

Già si sapeva che nel Nord usavano fare così, ma gli italiani non l’avevano mai visto e sopratutto era un fatto che ci urtava nella nostra concezione bersaglieresca, volta all’entusiasmo e alla partecipazione dello spirito battagliero, che considerava lo sport come un cimento da affrontare di slancio.

 

A quel tempo le squadre entravano in campo separatamente ed era un momento di emozione per gli spettatori: i giocatori sciamavano di corsa e avveniva una fase di riscaldamento senza esercizi ginnici rilassanti invece fatta di palleggi e di prove di abilità sul pallone in cui si manifestava anche il proprio vigore, mentre il pubblico scrutava per il riconoscimento i singoli avversari. Dopo qualche minuto l’arbitro fischiava il richiamo dei capitani al centro campo, sorteggiava e quindi fischiava l’inizio della partita.

 

Oggi non più. L’entrata in campo avviene in due fasi, la prima informale e la seconda inquadrata in una veste ufficiale, per così dire. Forse alcuni ricorderanno la rutilante entrata in campo dei giocatori dell’Aiax, che corsero a schiera a percorrere la larghezza del campo (ricordo anche la sensazionale entrata in campo della Salernitana nella partita di ritorno delle qualificazioni del 2006), sì, fu una cosina di effetto, ma poi di nuovo tutti negli spogliatoi. Non si sfugge. L’entrata in campo iniziale è solo una finta.

 

Dopo il tracollo della nazionale italiana, che perse 4-0 quella partita del maggio 1948, non mancarono commenti che accusavano la barbara imposizione subìta ad opera dell’arbitro sul modo di entrare in campo come concausa del tracollo. Ci hanno levato l’entusiasmo, dicevano.

 

Quale senso, quale significato portava nel 1948 quella novità?

 

La mia impressione di allora fu di un accostamento verso una nuova forma di disciplina, quasi ammirativa  per i costumi esteri, forse maggiormente rispettosi della pubblica autorità.

 

Ma questo è tutto?

 

No. L’entrata in campo in doppia fila indiana dietro l’arbitro ha sopratutto un altro significato. E’ una espressione di potere.

 

L’Organizzazione sopprime una forma di libertà di espressione e lega gli attori all’osservanza di una procedura prefissata, la cui vera importanza non consiste nel fatto che sia una procedura più civile o intelligente o accattivante: potrebbe essere anche una procedura stupida, fa la sua funzione lo stesso. La sua funzione è di rimarcare una forma di assoggettamento.

 

Se guardiamo ad oggi, i medesimi procedimenti li vediamo moltiplicati e moltiplicarsi.

 

Le squadre non si schierano più al centro del campo per il saluto tra capitani e arbitro: sarebbe troppo democratico, troppo libero, in un certo senso troppo creativo. No: si schierano presso un tracciato (non privo di pubblicità) predisposto, non al centro del campo, ma sotto la tribuna. In tribuna c’è ... l’imperatore ... vale a dire le personalità. Il pubblico normale deve percepire di trovarsi su un gradino inferiore, emarginato.

 

Il saluto poi ha un rigido protocollo, che precisa le precedenze e il senso del giro. Anche in questa fase, ostracismo alle manifestazioni spontanee: se i giocatori avversari si scambiano qualche parola amichevole, lo fanno quasi nascostamente, nessuno li sente o li vede, devono soltanto stringersi la mano a rigido turno, ogni altro segno di amicizia, come l’abbraccio, è precluso. Ma anche lo stringersi la mano, abitudine peraltro neppure universale in quanto ci sono popoli che la ignorano, cessa allora di essere uno spontaneo senso di amicizia, restando confinata all'obbligo.

 

La formale procedura della verifica dei palloni presentati dal capitano all’arbitro viene oggi del tutto occultata: ma persino il bambino a cui viene dato il pallone preso da un palchetto fa parte della manifestazione di potere che governa il tutto. La palla viene presa passando con ostentata indifferenza, non è più l’oggetto principe della gara, diventa strumento cieco in mano all’organizzazione, consegnato in ostaggio a un bambino.

 

Il pallone stesso appare sul palchetto come materializzato su un altare per un atto di Volontà della onnipotente Organizzazione, senza che in televisione si veda mai chi ce l'abbia effettivamente posato. E' del tutto occultata la realtà che si tratta invece di uno strumento di gioco messo a disposizione a cura della società che gioca in casa.

 

Avete mai notato come in genere gli arbitri fischiano l’inizio della gara?  A me fa un po’ ridere: puntano il braccio verso il luogo dove il pallone aspetta il calcio d’inizio, con mimica autoritaria, come se dal braccio partisse una emanazione che metta in moto la palla. A me fa un po’ ridere, vero, ma anche capisco che non è soltanto stupidità innocente e senza significato: anche quella serve a manifestare un potere. Non c’è più nei nostri arbitri quell’espressione autorevole e insieme tranquilla e quasi a volte di bonomia che vediamo nelle vecchie fotografie, che riveste il significato di una funzione di servizio allo spirito del giuoco: gli arbitri, all’apparenza televisiva, hanno un atteggiamento da ispettori delle finanze.

 

La suggestione delle masse è un’arte sottile, le insidie sono indirette.

 

Sofisticato dalle moderne tecniche di persuasione sotterranea, il nostro mondo calcistico

è più vulnerabile alle mene del potere che ordinariamente qualunque vero sportivo riget-terebbe. Ad esempio, come quando un calciatore gioca contro la squadra nella quale aveva già giocato nel medesimo torneo.

 

Il Bateau ivre sta attraccato al pontone delle stoffe fiamminghe.

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 

 



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