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l'opinione''Cos'è cambiato?'' di Pierpaolo Viaggi
18/03/2012

 

Non amo, anzi non voglio parlare di "quelli là" e quando lo faccio è, in genere, per ricondurmi a questioni che, esulando dallo specifico loro, consentono di spaziare su argomenti di riscontro più generale e di interesse ben maggiore del loro misero "particulare". Come è nel caso.



 


Il motivo è fornito dall' esibizione incolore andata in scena ieri al Ferraris con gli organi di informazione locali impegnati ad imputare la mancata vittoria alla mediocre conduzione di gara arbitrale piuttosto che a quella altrettanto mediocre della squadra. Esempio di quella "prostituzione intellettuale" del giornalismo di cui si è fatto a suo tempo paladino Mourinho e che costituisce ormai oggetto di discussione pressoché quotidiana sul diverso approccio che si riscontra nei riguardi della squadra di Genova e di quell'altra, che ha quale unico merito non certo quello di portare "sul petto lo scudo di Genova" ma l'essere retta da persona il cui nome nel mondo economico e politico genovese incute timore reverenziale ai limiti del dispotico.
Eppure questa forma di prona accondiscendenza - e ora parlo a livello generale - non è indegna caratteristica di questo nostro tempo.
Mi sono ricordato di quanto letto in un libro prestatomi tempo fa da una carissima persona, tanto cara e familiare da essere ormai diventata di famiglia, al punto che mia figlia la chiama e considera "nonna" a tutti gli effetti. E tanto cara e di famiglia da non avermene ancora chiesta la restituzione malgrado l'ex libris appiccicato in seconda di copertina che recita "del Signor......... .........., il quale quando impresta non dona".
Titolo del libro "Gli eredi di una duchessa", autore Giovanni Ansaldo.
Il libro raccoglie alcuni scritti, pubblicati su "Il Borghese" tra il 1953 e il 1957, quando Ansaldo si trovava a Napoli in qualità di direttore de "Il Mattino", e hanno ad oggetto Genova, città natale dell'autore.
Vi si parla tanto anche delle virtù, per lo più passate, e dei vizi, per lo più presenti, dei genovesi. Anzi, dei "nuovi" genovesi.
In alcuni di questi scritti, che poi sono articoli, Ansaldo entra in aspra polemica con la allora direttrice dell'Ufficio Belle Arti del Comune di Genova - Caterina Marcenaro - responsabile, a a suo avviso, di un arbitrario riordinamento della pinacoteca, degli arredi e della destinazione d'uso di alcuni locali di Palazzo Rosso nei quali, opportunamente riadattati ai propri gusti e necessità ovviamente a spese dei contribuenti, aveva trovato sistemazione la stessa direttrice. "Nulla di che, niente di nuovo..." verrebbe da esclamare. Forse che l'essere costato il riammodernamento del bagno ben un milione (siamo nel 1955), non suggerisce l'accostamento con la sistemazione di altro bagno di cui si è avuta notizia in tempi ben più recenti?
Proprio nulla di nuovo, dunque; parafrasando Remarque, niente di nuovo sul fronte non solo occidentale, ma di tutti i punti cardinali. Come dimostra quanto l'Ansaldo racconta quale seguito. Gli scritti suscitarono notevole eco e ripercussioni in città, al punto che le accuse - sempre dirette e mai velate, con tanto di nomi e cognomi di coloro cui erano riferite – costituirono oggetto di sedute di Consiglio Comunale. Casualmente, l'autore si trovava a Genova proprio l'indomani di una di queste e come lui stesso racconta "La mattina successiva uscii per tempo di casa a comprare i giornali. (...)
Mi interessava soltanto ciò che poteva aver detto il Sindaco di Genova, a proposito della questione da me suscitata con il mio articolo...Ma ahimè! Quale delusione!".
Nessuna risposta esaustiva alla domanda, nessuna smentita delle accuse, solo giri di parole per giustificare l'operato che, in definitiva, confermavano le accuse. Rivolgendosi, sempre tramite i suoi scritti, allora direttamente al Sindaco (Pertusio), Ansaldo scrive - e questo è il punto più rilevante sotto il profilo che qui ci riguarda - : "Ella ha invitato il Consiglio a deplorare la campagna di stampa, cioè la campagna del "Borghese", PERCHE' I GIORNALI GENOVESI SONO STATI MUTI COME PESCI SULL'ARGOMENTO...".

La figura di Giovanni Ansaldo merita un breve approfondimento, in quanto giornalista di valore ma assai discusso: lavorò presso "Il Lavoro" e fu anche imprigionato come antifascista. Tuttavia, nel corso della sua carriera, finì per trovarsi a lavorare per organi del regime, il che gli valse anche la reclusione dopo la Liberazione. Riferendosi a lui, l'Unità ebbe a definirlo "rottame fascista".
Anche se, come è scritto nella prefazione del libro, "tra i genovesi e il passato politico di Ansaldo erano rimasti conti aperti, oltre la forma serpeggiavano risentimenti...", rimase sempre molto legato alla sua città. Solo che lui amava quella Genova "città avvolta dal decoro e ad un tempo trafitta dai maniman, che certo è una oscura forma dialettale che sta per "non si sa mai", ma nella sua applicazione è più forte e, congelando, paralizza ogni entusiasmo. E' la cultura della prudenza, dell'omertà perbenista che piano piano ha strangolato la città".
 

Pierpaolo Viaggi

 



 



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