Un bel paciugo (2)
Data: 11/11/2004 15.39
Argomento: dalla redazione


E' di tutta evidenza come oramai nel calcio di oggi i valori sportivi siano passati in seconda linea.
L'aspetto del business ha travolto tutto, la fedeltà ad una maglia, ai propri colori, il rispetto delle regole, ecc.  e non si è salvata neppure la nazionale.
Gli interessi delle squadre di club sovrastano alla grande, è di tutta evidenza, quelli della nostra rappresentativa maggiore.
Ai giocatori andare in nazionale interessa ancora, eccome, ma non tanto e non solo per difendere i colori azzurri, tenere alto il prestigio calcistico e non solo quello dell'Italia, ma per intascare altri soldini e, soprattutto, per vedere salire le loro quotazioni ed arrivare agli ingaggi miliardari dei grandi clubs.



Sarà un caso, anzi non è un caso che da tempo, da quando impazza questa nuova "filosofia" gli azzurri non vincono più nulla, anzi facciamo delle figure sempre più barbine.
Inutile processare e cambiare i C.T. quando la responsabilità principale è del sistema.
Qualcuno ricorda i tempi in cui era il campionato ad essere condizionato dagli interessi della nazionale e non viceversa?
Si proponevano, si discutevano norme per ridurre il numero delle squadre di serie A per garantire maggiori spazi alla nazionale.
Per non dire delle norme in materia di blocco dei tesseramenti dei giocatori stranieri per dare spazio e far "maturare" i talenti italiani.
E tutte queste cose erano sentite, magari come detto dibattute, ma alla fine largamente condivise e, spesso, anche attuate.
Oggi nessuno si azzarda parlare di queste cose, ma neppure a pensarle, ben altre sono le preoccupazioni e le aspettative, in altri termini ben altri sono gli interessi.
Nell'anno dei mondiali spesso lo scudetto era assegnato a sorpresa, lecito pensare che i migliori giocatori, per lo più in forza ai grandi club, si risparmiassero per arrivare freschi ed in forma al mondiale e non spremuti come limoni senza forze ne motivazioni.
Oggi hanno ben altre ambizioni, sono tutti alla ricerca delle società che pagano meglio, oppure solo che pagano gli stipendi con meno ritardo; l'attaccamento ai colori, alla bandiera, un De Prà che rifiuta la Juve e resta a Genova sono tutti ricordi sbiaditi di un mondo che non c'è più.
Le interviste di allenatori e giocatori sono di un banale, scontato, prevedibile che quando arriva uno con la verve e la spontaneità di un Cosmi resti sorpreso, prima ancora che colpito, ma sono eccezioni che confermano la regola.
A parte, a volte, la scelta un pochetto ipocrita, di non esultare davanti ai loro vecchi tifosi, i giocatori appaiono sempre più come moderni mercenari dello sport, sono oramai platealmente preoccupati di difendere la loro immagine, di non urtare chi li paga, di dichiarare quello che i loro tifosi aspettano di sentirsi dire, in definitiva di difendere, e magari accrescere, il loro ricco ingaggio, del resto la carriera è così breve…
Cosa razionalmente anche comprensibile, ma alla fine come non constatare un po' delusi che della poesia di un tempo è rimasto davvero proprio poco, spesso niente.
Lasciatemi pensare che questa è una realtà dura da digerire specie dal tifoso, come quello genoano, così tanto legato alla sua storia, ai suoi miti, alle belle tradizioni di un tempo che fù e che vorrebbe poter rivivere.
Ed ecco allora che ti colpisce un Presidente come il nostro che corre a perdifiato dopo ogni vittoria, si inebria della gioia che sa di aver contribuito a dare ai suoi tifosi e gode per l'entusiasmo, gli applausi e la simpatia che questo suo comportamento "anomalo" suscita nel popolo rossoblu.
Naturalmente non è difficile immaginare gli ironici commenti che provoca questa cosa davvero fuori dalle "nuove regole", perché genuina, spontanea e, soprattutto, disinteressata: i meno maligni penseranno che ne ha proprio voglia.
Non che il nostro Presidente sia un "marziano", è anche lui parte del nuovo sistema, ma almeno mostra una parvenza di diversità, anche se, dopo tante "facciate", è sempre meno "diverso" perché, evidentemente, si deve essere stufato di lottare contro i mulini a vento e si è adeguato....
Credo che il bello del calcio siano rimasti ancora i tifosi, quelli veri, quelli che ancora sognano e ci "credono" nonostante tutto.
Un po' tutti, pur "vedendo" e "capendo" questo poco esaltante "nuovo corso", almeno per ora, siamo talmente innamorati che continuiamo a credere che il calcio sia lo sport più bello del mondo. E non riusciamo a rinunciare a questa che oramai, forse, e solo niente più di un'utopia.
Non sappiamo, probabilmente non vogliamo pensare che "non ne valga più la pena": insomma non c'è maggior sordo di quello che non vuole sentire.
Auguriamoci, non so come e non so quando, che un bel giorno arrivi qualcuno che la pensi diversamente da "questi" e possa ancora a salvare il salvabile, che abbia idee chiare e sani principi e che sia messo nella condizione di imporre una nuova linea, diciamo la nuova frontiera di  quello che potrebbe e dovrebbe essere il calcio del terzo millennio, come si dice un possibile (?) nuovo inizio.

Giancarlo Rabacchi







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