“La genoanità” di Guido Martinelli
Data: 25/11/2004 17.49
Argomento: l'opinione



Purtroppo per ragioni anagrafiche, ho calcato campi di mezza Italia e forse più. Posso dire di non aver mai incontrato un pubblico come quello rossoblù: si badi bene, non in termini di caciara o di folclore... Questi sono aspetti secondari del tifo, riscontrabili in svariate sfaccettature in molti tifosi; ma in termini di sentimento che, nel popolo rossoblù, raggiunge il diapason.
In una parola questa è la “genoanità”.



Ma riesce difficile ridurre a semplici vocaboli una sensazione vivibile, riscontrabile, a volte assorbibile per osmosi, soltanto da chi è presente sul campo e la vive direttamente.
In altri termini, non si può spiegare per parole ciò che significa essere genoano.
Non è semplice tifo, sarebbe riduttivo; Non e’ un vezzo...E’ probabilmente una ‘miscellanea’ di tante cose, come il morboso attaccamento ad un mito, il rispetto della tradizione, il vincolo alla propria terra e alle proprie origini: un qualcosa di molto simile -mi si perdoni l’irriverente paragone- al patriottismo dei nostri carbonari nei moti del ’48.

Non si vedrà mai un genoano ostentare la propria simpatia nei facili momenti di gloria, per poi occultarla nei momenti tristi della disgrazia; anzi,  è più facile che un genoano mostri il proprio orgoglio nei momenti peggiori.
Avente mai sentito affermare da un genoano che le sue squadre del cuore sono , prima la tale, seconda la talaltra e, per finire, in serie A, la tal dei tali? Per il genoano esiste solo il Genoa, giocasse anche in serie C ,come già una volta disgraziatamente accadde.

Non si sentirà mai un genoano affermare alla domenica: “Vado al campo a vedere la partita”...Si sentirà,invece,  dallo stesso affermare: “ Vado a vedere il Genoa”, come a dire che l’oggetto e la mèta dell’impegno domenicale è il Genoa, indipendentemente dall’avversario di turno che talvolta è addirittura sconosciuto fino all’ultimo.

Un genoano non è un amante del gioco, è solo un genoano. Perciò se nel tempio di Marassi si disputasse Benfica - Real Madrid e sul greto del Bisagno contemporaneamente si fronteggiassero Genoa e Pro Figaro, il genoano non avrebbe dubbi, sceglierebbe la seconda situazione.
Il genoano non è uno spettatore da teatro. Non aspetta il cartellone per avvicinarsi al palcoscenico. Va a botta sicura, sapendo che in intanto quella speciale recita verrà attuata dall’attore preferito, che si chiama Genoa.
Il genoano vuole solo vedere vincere. Non importa se con bel gioco o meritatamente. La vittoria del Genoa è per lui una rivincita, un’occasione per rialzare la testa, la circostanza per essere orgoglioso. Non si spiegherebbe perché nel campionato 1970/71 il Genoa in serie C raccolse un grande consenso popolare come forse non mai.

Ricordate il povero Enzo Tortora? Era solito rappresentare il Genoa nei periodi più bui e tetri della storia rossoblù. Diceva spesso: ”Sapeste com’è duro essere presi in giro da quelli che non ti perdonano le sconfitte...”. Ma mostrava l’orgoglio di essere genoano in un momento cosi triste.

Quando si vuole bene ad una persona, le ci si stringe intorno ancora con maggior affetto quando essa sta poco bene o quando cade in disgrazia. Per questo ritengo che tanti anni di stenti e di malessere abbiano rinforzato ancora di più il sentimento dei tifosi, un po’ come la rabbia espressa dalla minoranza politica quando per anni è costretta a subire da parte di una maggioranza invisa e disprezzata.

La “genoanità” è una caratteristica unica ed intoccabile. E’ il patrimonio più grande che il Genoa-società possa vantare in capo ai suoi tifosi unici.

Guido Martinelli







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