"Dalla Cronaca alla Leggenda" (1) di Franco Venturelli
Data: 13/04/2005 14.27
Argomento: l'opinione


In una vecchia rivista del 1933, che ho in casa da sempre, è possibile trovare, leggendo tra le righe, i capisaldi di una genoanità delle origini, mirabilmente esposti dallo stesso Presidente del Genoa e dalle maggiori personalità del mondo del calcio e del giornalismo sportivo dell'epoca.

In tantissimi anni che seguo il Genoa, non mi è mai capitato di leggere una recensione o un riferimento a questa pubblicazione, che secondo il mio modesto parere è di un interesse straordinario per gli appassionati della storia del Genoa e dei suoi tifosi, e che andrebbe conservata per mostrare alle nuove generazioni le radici del nostro senso di appartenenza.
La rivista era stata pubblicata in occasione delle celebrazioni dei primi 40 anni del Genoa e io vorrei ricordarne, per sommi capi, alcuni passi tra i più significativi, suddividendo gli argomenti in tre parti.

 



Parola di Presidente

La rivista si apre col saluto del Presidente del Genoa A.V. Ardissone, che si rivolge, guarda caso, non "ai tifosi", ma "ai fedeli". Il che dice già tutto sul rapporto, esistente a quei tempi, tra Società e appassionati al seguito.
E lo fa esibendo, fin dal primo periodo, una frase "forte", che chiarisce subito quale fosse lo "spirito" dei fedeli, che altri chiamano banalmente tifosi.


Genoani doc per il quarantennio:
Ghiorzi, Pasteur, De Grave Sells, Sanguineti, Goetzlof e Ardissone

Infatti nel saluto il Presidente dice chiaramente:
"a quelli che non condizionano il loro amore alle vittorie e alle sconfitte della squadra".
Quando, dunque, i giovani genoani di oggi affermano che "gli altri" sono costretti a vincere per esistere, mentre noi esistiamo indipendentemente dal vincere o perdere, forse non lo sanno, ma esprimono un pensiero che è fortemente radicato nella Società Genoa, fin dalle origini.

Nel passo successivo, il Presidente si rivolge ai giocatori, e qui ci troviamo di fronte ad un'altra frase "forte". Infatti parla di:
"l'altissimo spirito col quale (....) i nostri giocatori hanno sempre agitato la loro bandiera" che è un modo per dire che hanno sempre onorato la maglia.
Poi passa a sottolineare:
"la lealtà e l'onestà sportiva e civile della Società Genoa"
preoccupandosi di precisare che:
"anche se la squadra non è in testa alla classifica (.) la cosa essenziale è che le tradizioni di cavalleria sportiva rimangano intatte, l'essenziale è che la più antica squadra di calcio italiana, la nostra, rimanga sempre l'esempio che fu in passato."

Verso il finale, ecco poi un'altra frase che dice tutto sul carattere dei genoani.
Afferma infatti il Presidente che affinché il Genoa possa continuare ad essere d'esempio a tutti come in passato:
"occorre la collaborazione di tutti i fedeli, occorre anche che essi alla passione, talvolta smodata, quasi sempre cieca, per la propria squadra, sostituiscano l'affetto sereno, equilibrato, consapevole."
Questo è un passaggio importante perché ci fa sapere che anche ai tempi in cui vincevamo gli scudetti, la "passione" dei genoani era "smodata" e "cieca" e che dunque nulla è cambiato col passare delle generazioni.

Ecco allora, riepilogando, come dalle parole stesse del Presidente di quei tempi gloriosi, emergano i capisaldi della genoanità delle origini, che poi,nel corso del tempo, si è mantenuta intatta fino ad oggi:
- tifosi "fedeli", che non condizionano il loro amore alle vittorie o alle sconfitte, animati da una passione talvolta "smodata" e quasi sempre "cieca"
- giocatori che onorano la maglia
- Società "leale" e "onesta", animata da tradizioni di "cavalleria sportiva", esempio per tutte le altre.

Ultima nota, una dedica fondamentale:
"Al nome di Luigi Ferraris -conclude il Presidente Ardissone- dedichiamo oggi il nostro Campo (scritto con l'iniziale in maiuscolo): la sua vita permeata di idealità e di purezza, il suo sacrificio glorioso, siano sempre di esempio e di sprone ai dirigenti, ai giocatori, ai fedeli".
Queste parole dovrebbero essere ricordate a chi, ogni tanto, se ne esce con l'idea di abbattere il Ferraris.

Franco Venturelli

 







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