Spett.le Ditta “Pretesti & Furbizie”
Data: 21/01/2006 16.35
Argomento: dalla redazione


Nel 1907, dopo dieci anni esatti di calcio in Italia, la situazione dei campionati vinti era questa: Genoa: 6, Milan: 3, Juventus: 1. Nel frattempo, il gioco stava appassionando sempre più tifosi, e le squadre erano in netta crescita.

 



Contribuivano a questa crescita soprattutto le società di ginnastica, che avevano una lunga e gloriosa tradizione, rispetto al calcio nato da poco, e che, in numero sempre maggiore, aprivano una sezione rivolta a questo nuovo sport.

Le società di ginnastica utilizzavano i loro iscritti, che erano tutti taliani.

Genoa, Milan e Juve, invece, avevano nelle loro fila anche molti stranieri.
Il Milan, addirittura, era stato fondato, come il Genoa, da un inglese di nome Kilping, che conosceva e stimava Spensley.

Come suggerisce la logica, le ultime arrivare avevano tutto da imparare, non solo perché erano di giovane formazione, ma anche perché le tre grandi del momento, utilizzando molti giocatori stranieri, sfruttavano anche la maggior esperienza calcistica di nazioni come Inghilterra e Svizzera che praticavano il calcio da più anni rispetto all’Italia.

Ma a perdere sempre, queste nuove società non ci stavano e, con lo spirito anti-sportivo che contraddistingue la mentalità italiana, volevano vincere anche se erano inferiori.

E allora cosa hanno fatto?

Hanno usato una tradizionale arma dell’italico comportamento, che tante critiche ancora oggi ci procura in campo internazionale: il pretesto.

Hanno cominciato a dire che non era giusto utilizzare gli stranieri.
Che Genoa, Milan e Juve, vincevano solo per quello e che, per questioni di equità e giustizia, anche le tre grandi avrebbero dovuto giocare con giocatori tutti italiani.

Le tre grandi non raccolsero questo ragionamento pretestuoso,basato evidentemente sul nulla, e si arrivò allo scontro frontale.

La Federazione venne messa alle corde e le piccole squadre, facendo valere la forza del numero e puntando sul bieco sentimento del nazionalismo razzista, che purtroppo raccoglie sempre seguaci, la spuntò.

Dal campionato 1908 vennero escluse Genoa, Milan e Juve e fu così che la ProVercelli vinse, con questo pretesto, il suo primo scudetto.

Molti decenni dopo, di questa mentalità italiana visceralmente anti-spo
rtiva e incapace di accettare il verdetto del campo, fece le spese un campione della statura di Mercks, che in Italia venne drogato a sua insaputa, in modo da causarne la squalifica e permettere a Gimondi di vincere un giro d’Italia.
La motivazione era sempre la stessa, basata su un concetto di equità e giustizia modificato a proprio uso e consumo. Non era giusto, si diceva, che un grande ciclista come Gimondi, per la sorte di aver trovato sulla propria strada un fenomeno come Mercks, rischiasse di non vincere nemmeno un giro d’Italia.

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Personalmente ho sempre tenuto a grande distanza questo particolare concetto di equità e giustizia che contraddistingue il modo di pensare all’italiana e che per me assomiglia invece ad un’altra cosa che in questo paese ha radici ben salde. E cioè, al modo di pensare in base al quale se una cosa non si riesce ad ottenere in modo regolare, si cerca di ottenerla cambiando le regole (e le leggi) secondo le proprie convenienze.
 
Oggi si trova ingiusto che a vincere siano sempre le stesse squadre.

Quello che un tempo era riconosciuto come bravura -il vincere spesso- è oggi furbescamente visto come un difetto del sistema.

Eppure basterebbe sfogliare i manualetti del calcio per rendersi conto che in molte nazioni del mondo, dove sono presenti le squadre storiche della storia del calcio, è così da sempre.

Ho dati aggiornati solo fino al 1990, ma sono tuttavia molto indicativi.
Cito solo quelli relativi ad alcune delle squadre più note. Al 1990, il Real Madrid aveva già vinto 24 campionati, il Benefica 28, il Liverpool 17,il Penharol 40, il Nacional 35, il River Plate 18, il Boca Juniors 17, il Flamenco e la Fluminense 25…..Non mi sembrano dati che si discostino da quelli italiani, dove la Juve e il Milan, le presunte squadre che vincono sempre, al 1990, avevano vinto rispettivamente 22 e 11 campionati.

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Se è ingiusto il sistema italiano allora è ingiusto tutto il calcio nel mondo.

Eppure a me non risulta che in Spagna, in Inghilterra o in Sudamerica, i Clubs che vincono meno facciano appello ad un senso di equità e giustizia, che personalmente interpreto come volgare pretesto, per giustificare la propria inferiorità.

Non a caso in quei paesi esiste, nei media e nelle tifoserie, un senso di sportività a noi sconosciuto. Ed esiste, in particolare, un vero amore per il gioco del calcio, mentre in Italia il gioco del calcio è spesso il pretesto per affermazioni personali e per polemiche di comodo.

Lo dimostra anche il fatto che tra gli addetti ai lavori e i tifosi c’è poco interesse a parlare di calcio e molto più interesse a parlare di altro.

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Oggi ci ritroviamo, come nel 1907, con un gruppo di piccole squadre che vogliono escludere le grandi squadre perché vincono troppo.

E’ la logica, tanto cara ai genovesi di oggi, che Preziosi ha avuto modo di conoscere sulla sua pelle, del “non lo posso fare io, allora non lo lascio fare nemmeno a te” .

Non a caso alla testa dei ribelli pretestuosi c’è uno che abita a Genova.

Nei paesi con maggior apertura mentale e senso del dovere, chi si trova in condizioni di inferiorità, invece di tentare di trascinare il basso anche gli altri, si organizza, studia, si da fare per crescere a livello degli altri.

Noi invece, pigri e furbastri, due qualità che ci impediscono di essere stimati all’estero, ci rivolgiamo alla stato perché, come al solito risolva i problemi per noi. (chi non ricorda la Fiat di Agnelli che privatizzava i guadagni e socializzava, con la Cassa Integrazione, le perdite? Anche in quel caso c’era il solito furbesco appello all’equità e alla giustizia: si potevano lasciare i lavoratori senza stipendio?).

Franco Venturelli

 







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