Sette geno(v)ani in azzurro all'Olympia Stadion
Data: 09/07/2006 09.53
Argomento: l'opinione



Quando i Garbutt Boys sfidarono la nazionale del Terzo Reich nello stadio in cui l'Italia cerca il suo quarto alloro mondiale

Domenica 26 novembre 1939 vi fu la più importante esperienza azzurra della storia del Genoa (che allora si chiamava, in ossequio all’autarchia linguistica del Fascismo, Genova 1893; i rossoblu, pertanto, erano indicati nelle cronache sportive come “genovani”), che schierò sette suoi elementi, profeti dell’innovativa tattica per il calcio italiano del “sistema”, all’Olympia Stadion di Berlino.



Non era mai accaduto nelle 74 partite precedenti in cui aveva fornito almeno un giocatore alla Nazionale, non accadde più nelle successive 24. Quel giorno la Germania di Adolf Hitler festeggiava il Bußtag, cioè “la giornata della preghiera e della penitenza”, che era stata posticipata di quattro giorni per non interrompere lo sforzo produttivo di una nazione che stava portando a termine il terzo mese di guerra. Non essendo questa la sede per esprimere giudizi di tipo storico, verranno riportati tutti i riferimenti all’alleanza tra la Germania del Führer e la non ancora belligerante Italia del Duce con le considerazioni della stampa dell’epoca e senza alcun commento.

Il contesto

Domenica 12 novembre 1939 l’Italia era stata piegata all’Hardturm di Zurigo per 3-1 dai padroni di casa rossocrociati. Non considerando la gara di Coppa Internazionale del Prater di Vienna, che era stata interrotta con gli austriaci in vantaggio per 2-0 al 29’ della ripresa domenica 21 marzo 1937 ed annullata, gli azzurri di Pozzo, campioni del mondo in Italia nel 1934 e in Francia nel 1938, erano stati sconfitti per l’ultima volta domenica 27 ottobre 1935 a Praga per 2-1 dai cecoslovacchi, per poi inanellare una serie utile di 30 partite (24 vittorie, 6 pareggi, 75 reti fatte, 28 reti subite).

La sconfitta in terra elvetica, maturata nell’ultima mezz’ora di gioco per una doppietta dell’ala sinistra G. Aebi, era stata vista molto più come la fine di un ciclo che come un incidente di percorso, e il Commissario Unico Vittorio Pozzo, che si avvaleva dell’opera di Luigi Burlando come allenatore (cioè preparatore atletico), cercò di trovare una soluzione andando a “saccheggiare” il Genova 1893 del suo vecchio amico William Garbutt (che aveva affidato il medesimo compito svolto da Burlando in Nazionale a un’altra “vecchia gloria” del Grande Genoa degli Anni Venti, Ottavio Barbieri), che praticava la nuova tattica di gioco del “sistema”, di matrice britannica, di cui aveva dato eccellente dimostrazione a Milano l'Inghilterra di Hall nello storico 2-2, ma ormai affermatasi in parecchie nazioni (la applicavano anche i futuri avversari della Germania di Sepp Herberger).

Il "metodo", che era molto più nelle corde di Pozzo, prevedeva due terzini, una linea di centrocampo con i tre mediani arretrati e le mezzali avanzate e un attacco a tre punte con le ali molto larghe; il "sistema" prevedeva l'arretramento del centromediano sulla linea dei terzini, un quadrilatero di centrocampo con i mediani "bassi" e le “mezzali” alte, e il tridente d’attacco.

Al termine della IX giornata di campionato il Genova 1893 condivideva a quota 12 punti il primato in classifica con Ambrosiana Inter, Bologna e Lazio ed aveva la peggior difesa (18 reti subite) a pari merito con Venezia e Juventus e il miglior attacco (25 reti fatte, 7 più dell’Ambrosiana Inter, che era in seconda posizione in questa speciale graduatoria). La scelta di Pozzo, che aveva seguito a Marassi la vittoria del Genova 1983 nell’ultima gara di campionato (2-0 al Napoli domenica 19 novembre 1939) era quindi fortemente sperimentale, perché cercava di affidarsi a una squadra dal gioco spettacolare piuttosto che tatticamente disciplinato (Martedì 21 Novembre 1939 La Gazzetta dello Sport, i cui articoli faranno da guida a questa ricostruzione, scriveva: “La presenza a Genova di Pozzo significa orientamento verso la squadra più dinamica della stagione? Perché il Genova [1893] è squadra da pigliarsi in blocco, sistema compreso, e[, eventualmente,] da abbandonare in blocco, salvo il prelievo di due o tre giocatori al massimo, particolarmente adattabili ad altro telaio.”; sempre la “rosea” scriveva nell’articolo di Mario Zappa di Sabato 25-Domenica 26 Novembre 1939 dal chilometrico titolo, tipico del gusto dell’epoca, GERMANIA-ITALIA schiera in campo per la “partita dell’amicizia” le rispettive squadre calcistiche che celebreranno la vitalità e la nobiltà dell’idea sportiva: “Ma una squadra non è la somma di undici valori, non è la miscela di undici atleti. È la combinazione organica di tali valori. È un organismo, che ha membra e cervello. Che ha sopratutto un’anima. Tutto ciò non si improvvisa. Si costruisce con paziente lavoro, che va dal progetto di squadra all’esperimento collettivo, dallo studio tecnico alla fusione spirituale. Il lavoro è facile quando si ha tra le mani un telaio e si tratta soltanto di aggiungere o di togliere qualche pezzo. Il lavoro è assurdo in una decina di giorni, ché tanti hanno separato il ritorno da Zurigo dalla partenza per Berlino. Il commissario tecnico ha dovuto perciò rimandare a miglior tempo la ricerca della formula ideale di una squadra prettamente nazionale, di una squadra-tipo quale il complesso delle forze atletiche nostrane e il suo fiuto di trentennale costruttore. Per il momento ha preso il suo bene dove l’ha trovato, l’affiatamento dove c’era, la forma e la classe dove si palesavano. Ha rinunciato ad improvvisare, ha rinunciato ad esperimentare. Ha fatto sua la formula di altri. Il Genova [1893] non era forse, nel periodo attuale del campionato, la sola squadra che unisse alla classe dei suoi giocatori una classe splendente? E il Genova [1893] era anche, per il sistema che pratica, assai dissimile da quello comunemente seguito in Italia (e addirittura opposto a quello che era alla base del gioco della squadra nazionale), la squadra da prendersi in blocco o da lasciare del tutto. Non è dunque un atto di conversione ad altri concetti che il commissario tecnico ha recitato, scegliendo la squadra del Genova [1893]. È stato un semplice atto di obbedienza ai suggerimenti del campo, visto che improvvisare bisognava e che il materiale costruttivo era troppo eterogeneo per lasciare viva la speranza di poterlo fondere in un tutto organico. Il Genova [1893] bisognava pigliarlo in blocco, come altre volte si era fatto con la Juventus, nei più lontani tempi con la Pro Vercelli e in misura di poco ridotta con lo stesso Genova [n. d. r.: all’epoca, gli Anni Venti: Genoa] e col Torino. Tale concetto unitario era tanto sentito che la chiamata dei rossoblù genovesi sarebbe certamente stata estesa a Conti e Bertoni [I] se quei due non fossero attualmente minorati da strappi muscolari. Anche nella soluzione di ripiego non si sono dunque evitate le malefatte della cattiva stella, la medesima che ha tolto di mezzo ancora una volta Piola, l’uomo di tutte le prove, uscito nuovamente stroncato dal campo, generosamente ma forse troppo precipitosamente calcato. A Berlino si andrà dunque con una squadra che non è una improvvisazione. Ma essa non è neppure una squadra di pretta marca nostrana, perché il modo di giocare del Genova [1893], per il momento almeno, costituisce un’eccezione fra noi e ancora non è stato assimilato, così da diventare patrimonio nazionale.”).

La Gazzetta dello Sport aveva anche ripercorso Giovedì 23 Novembre 1939 le precedenti partite della Nazionale Italiana in cui erano stati impiegati sette o più giocatori di una stessa squadra. 9 erano stati gli elementi della Pro Vercelli in Italia-Belgio 1-0 del 1° maggio 1913 e 9 gli juventini in Ungheria-Italia 0-1 del 22 ottobre 1933. Una sola volta erano stati presentati 8 elementi di una stessa compagine: erano stati gli juventini di Italia-Svizzera 5-2 del 3 dicembre 1933. Il caso dei 7 giocatori era accaduto prima del Genova 1893 altre sei volte, la prima della quale targata Pro Vercelli, le altre Juventus: Austria-Italia 2-0 del 15 giugno 1913, Spagna-Italia 0-0 del 19 aprile 1931, Svizzera-Italia 0-2 del 2 aprile 1933, Italia-Cecoslovacchia 1-0 del 7 maggio 1933, Italia-Inghilterra 1-1 del 13 maggio 1933, Italia-Austria 2-4 dell’11 febbraio 1934.

In Germania l’attesa dell’incontro era spasmodica sia per le valenze sportive che per quelle politiche. In un suo articolo intitolato Partita dell’amicizia, Kicker scriveva: “Uno spettacolo che farà esultare i cuori e brillare di soddisfazione gli occhi. I cuori, perché sono i nostri amici, gli inviati del Duce, contro cui giocheremo; gli occhi, perché sono i campioni del mondo che ci mostreranno tutto il repertorio della loro arte. Da sedici anni ci misuriamo con l’Italia e non abbiamo mai potuto ottenere una vittoria casalinga [n. d. r.: l’unica vittoria tedesca (2-1) risaliva a domenica 28 aprile 1929, a Torino]. Noi ardiamo quindi dall’impazienza di conseguire un trionfo sui duplici campioni del mondo. Ora che la Svizzera ha dimostrato come l’Italia non sia imbattibile, la nostra brama di vittoria è ancora più intensa. Sconfiggere i campioni del mondo, rimasti per quattro anni imbattuti: quale grandioso coronamento d’una annata memorabile!”.

I novantamila biglietti erano già stati quasi tutti venduti alcuni giorni prima che si giocasse il match all’Olympia Stadion, i giornalisti accreditati erano trecento, di cui settanta stranieri. I tedeschi erano alla quinta partita dopo la dichiarazione di guerra (durante i quattro anni e mezzo del conflitto precedente non ne avevano disputato alcuna); la questione più dibattuta, sulla scorta dell’infelice mixage alla Coppa Rimet 1938, era se inserire gli austriaci o giocare con i soli tedeschi (alla fine vennero impiegati quattro austriaci: il portiere Raftl, che vinse il ballottaggio con Klodt; la mezzala destra Hahnemann, che arrivò in ritardo perché aveva sostenuto un esame universitario; la mezzala sinistra Binder, detto, ad onta dei suoi novanta chili, “Bimbo”, che fu il mattatore della partita, ma era stato convocato solamente in un secondo tempo, stanti le precarie condizioni fisiche e di forma del futuro Commissario Tecnico della Germania Ovest, campione del mondo nel 1974, Schön; l’ala sinistra Pesser). In sostanza, gli austriaci erano più tecnici ed individualisti, i tedeschi più atletici e coesi.

La partita

Alle ore 14,03 l’arbitro spagnolo Escartin diede inizio all’incontro, che si disputava su un terreno allagato dalle pozzanghere formatesi con la neve che si era squagliata e in condizioni climatiche davvero avverse, con il vento che soffiava a raffiche dalla porta di Maratona.

Le squadre erano così schierate:

Germania:

Raftl (Östmarck);
Janes (Fortuna Düsseldorf), Rohde (Hamburger SV), Billmann (IFC Nürnberg):
Kupfer (Schweinfürt), Kitzinger (Schweinfürt);
Hahnemann (Admira Wien), Binder (Rapid Wien);
Lehner (Schwaben Augsburg), Conen (Stüttgart), Pesser (Rapid Wien).

Italia:

Olivieri (Torino);
Marchi (Genova 1893), Battistoni (Genova 1893), Sardelli (Genova 1893);
Genta (Genova 1893), Perazzolo (Genova 1893);
Demaria (Ambrosiana Inter), Scarabello (Genova 1893);
G. Neri (Genova 1893), Boffi (Milano), Colaussi (Triestina).

15’ 1° T. GERMANIA-ITALIA 0-1 (G. Neri): Demaria passa a G. Neri, che elude l’intervento di Billmann e fulmina Raftl sulla sua sinistra.
20’ 1° T. GERMANIA-ITALIA 1-1 (Binder): Incertezza di Sardelli e scivolone dell’accorrente Marchi, che favorisce Lehner, abile a centrare per la facile deviazione in rete di Binder.
27’ 1° T. GERMANIA-ITALIA 1-2 (Demaria su rigore): G. Neri riprende una conclusione di Colaussi non trattenuta da Raftl e serve Scarabello, la cui conclusione a botta sicura viene deviata dal braccio di un difensore tedesco. Escartin concede la massima punizione, di cui si incarica Demaria. L’esecuzione del rigorista sulla destra alta di Raftl e il vano tentativo del portiere tedesco, che intuisce la traiettoria, ricordano in tutto e per tutto la decisiva trasformazione di Totti in Italia-Australia 1-0 di lunedì 26 giugno 2006.
36’ 1° T. GERMANIA-ITALIA 2-2 (Binder) : Un retropassaggio di Perazzolo ad Olivieri s’impantana e Binder è lesto ad approfittarne, anticipando e battendo l’estremo difensore azzurro.

INTERVALLO: La banda della Luftwaffe inanella giri di pista sotto il nevischio suonando canti popolari. Le due squadre si raccolgono sull’attenti davanti alla porta di Maratona per onorare la memoria dei caduti in guerra prima di iniziare l’incontro, gli alfieri abbassano le bandiere di Germania, Italia e Spagna, viene accesa la fiamma sul tripode dei Giochi Olimpici di due anni prima, mentre meste note evocano il vecchio Lied di Uhland: “Ich hatt' einen Kameraden, einen bessern findst du nit…" (Avevo un camerata, uno migliore tu non trovi …).

20’ 2° T. GERMANIA-ITALIA 3-2 (Lehner): Binder, servito da una rimessa laterale di Pesser, manda al centro un pallone teso, che viene deviato in porta da Lehner da circa tre metri: Olivieri ribatte come può e Lehner ribadisce di piede in rete.
22’ 2° T. GERMANIA-ITALIA 4-2 (Conen): Al termine di un azione tambureggiante il bomber tedesco della Coppa Rimet 1934, Conen, da poco richiamato in nazionale, devia in rete una palla vagante nell’area di porta di Olivieri.
40’ 2° T. GERMANIA-ITALIA 5-2 (Binder su rigore): Binder, con un’esecuzione simile a quella di Demaria, trasforma un calcio di rigore accordato da Escartin per un fallo di mano commesso da Sardelli, scivolato in area di rigore.

I commenti

“Sconfitta, non catastrofe” fu il titolo del commento tecnico di Mario Zappa all’incontro pubblicato da La Gazzetta dello Sport di Lunedì 27 Novembre 1939. Si faceva notare come gli azzurri avessero combattuto con grande correttezza, ma anche con non poche ingenuità e carenze tattiche (gli scivoloni dei difensori, gli avventati retropassaggi, tipici del calcio sistemista, ma inadeguati su un terreno ai limiti della praticabilità, l’improvvisazione del gioco d’attacco, la scarsa capacità di interdire dei mediani, l’inferiorità fisica).

L’indomani Bruno Roghi, in “Postille di uno che non c’era (ovvero se parlassimo italiano?)” metteva in dubbio la validità dell’esperimento sistemista, e di riflesso di Pozzo che l’aveva avallato, e suggeriva il ritorno a tattiche di gioco più conosciute dai calciatori italiani.

Stefano Massa





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