Il Genoa e la “rametta”
Data: 20/07/2006 12.19
Argomento: dalla redazione


Non è facile, per me, stabilire quando sia nato esattamente il termine "rametta". Posso dire però che agli inizi del '900 esisteva già, così almeno mi hanno raccontato gli anziani di casa e i genoani di piazza..De Ferrari.
Secondo una versione ascoltata da sempre, la "rametta" nasce come luogo di appuntamento.
Il punto esatto della “rametta” è  situato sullo spigolo dei portici del Palazzo dell'Accademia, lato: Largo Pertini/Fontana di Piazza De Ferrari, in faccia a dove oggi si trova l'entrata del Metrò.


 



Perché "rametta"?
Perchè  sembra che lì si dessero appuntamento, in particolare, gli innamorati. Dagli innamorati che cinguettano tra loro, agli uccelli che cinguettano sui rami degli alberi  -e quindi sulla "rametta"-  il passo è breve e intuitivo.
    
Tutto questo accadeva più o meno cento anni fa, quando, tra futilità da “bella epoque” e sussulti d’anarchia, stava nascendo il mito del Genoa, e insieme ad esso, cresceva intanto la passione dei genoani, i quali, guarda caso, si davano anche loro appuntamento a De Ferrari.
A dire il vero, i primi genoani pare che si incontrassero, a fine ‘800, in piazza Corvetto.
Ipotesi assolutamente credibile, perché da Corvetto partiva la cosiddetta “rebellea”, un mezzo di trasporto tirato da cavalli -ma nel frattempo stava diffondendosi a Genova anche il trasporto elettrico- che portava fino a ponte Carega. 
E pochè il Genoa, in quei tempi, proprio a ponte Carena stava tirando i primi calci al pallone visti in Italia nella versione inglese, che poi si sarebbe diffusa ovunque, sembrerebbe normale che lì, a Corvetto, si dessero appuntamento i genoani, con lo scopo di prendere successivamente il mezzo per andare a vedere la partita. 
A Corvetto, ricordiamolo, si trovava anche il raffinato locale di Mangini, frequentato dalla borghesia genovese, tra le cui fila, com’è noto nacquero i primi appassionati tifosi del Genoa, e anche alcuni tra i migliori giocatori dell’epoca.
Successivamente però, è certo che gli appassionati genoani spostarono il luogo dell’appuntamento a De Ferrari. Esiste, in proposito, l’autorevole testimonianza di Ghiorzi, dirigente plenipotenziario del Genoa dei tempi degli scudetti.
Ghiorzi afferma, in un’intervista, che la rivalità tra i tifosi del Genoa e dell’Andrea Doria era molto forte, e racconta di liti terribili, e persino di scazzottate, che avvenivano tra i “doriani” asserragliati sotto i portici del Carlo Felice e i genoani frequentatori del Bar Klainguti, che si trovava in via xxv Aprile, in faccia al Carlo Felice stesso.

Ma quando, i genoani,  cominciarono davvero a incontrarsi in piazza De Ferrari?
Difficile dirlo esattamente.
Credo, tuttavia, sia possibile affermare che ciò sia avvenuto intorno agli anni ’10, poiché esiste una foto del 1910, che ritrae Pasteur in piazza DeFerrari, circondato da signori in colletto bianco e abito scuro, con cappello, che stanno parlando tra loro. Sicuramente del Genoa. Ma questo lo dico io, convinto però di azzeccarci.
Ci sono poi alcune testimonianze dirette, come quella di Ginetto, un anziano di De Ferrari, che era stato col padre a Ponte dei Mille, nel 1930, ad accogliere il leggendario Stabile in arrivo dal Sudamerica.
Ebbene, Ginetto, mi aveva più volte raccontato, in passato, di suo padre, grande genoano, che frequentava i genoani di De Ferrari, già negli anni ’10.
 
Come si vede, dunque, ci troviamo davanti a due fatti distinti: la “rametta”, luogo di incontro per chi si dava appuntamento a De Ferrari, specialmente gli innamorati,  e i “genoani” che, presumibilmente intorno agli anni ’10 del secolo scorso, hanno cominciato a darsi appuntamento anche loro a De Ferrari. 
Ora, poichè è assodato che non ci sia nessuno più innamorato di un genoano nei confronti del Genoa, ecco che il termine "rametta" col tempo è passato, per proprietà transitiva, ai genoani che da cento anni si incontrano a DeFerrari per parlare del Genoa.
Si può così affermare che, se per gli anziani genovesi la "rametta"  era e resta il punto dove darsi appuntamenti, nel parlare corrente degli appassionati di calcio, la "rametta" è ormai diventata un'altra cosa, e indica il gruppo dei tifosi genoani che si riunisce tutti i giorni in piazza De Ferrari.

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Ho visto per la prima volta i genoani della "rametta", una domenica d’inverno dei primi anni del dopoguerra.. Ero per mano a mio padre e a mia madre, avevo una decina d’anni, ero genoano perchè la famiglia, i parenti, e tutto il quartiere dove abitavo lo erano, ma non avevo nemmeno l'idea di cosa fosse il gioco del calcio, anche se giocavo a pallone ai giardini (ma era un'altra cosa).
Il Genoa aveva pareggiato 2-2 con l'Inter, ed esattamente sull'angolo dei portici del Palazzo dell'Accademia corrispondente al punto della "rametta", c'era una grande quantità di persone che discutevano animatamente della partita.
Ricordo che ero stato immediatamente attratto da loro. Avrei voluto fermarmi lì, stare a sentire i loro discorsi, non muovermi più da quel posto, ma i miei genitori mi trascinarono via, 
Tornai a casa con l’emozione ancora viva in me, e con negli occhi il fascino di quell’animazione coinvolgente, sintomo di grande passione, e un'idea ben precisa in testa: che appena fossi stato in grado di andare in centro città da solo, sarei tornato in quel punto.
Cosa che puntualmente feci qualche anno dopo, e da allora non ho più smesso di andarci.
 
Alla “rametta” ho  incontrato i più grandi genoani che abbia mai conosciuto.
Franceschin l’elettrricista, con i baffetti sottili alla sudamericana e i capelli ondulati che sembrava La bruna, leggenda vivente del River Plate che io avevo visto in foto, sul Calcio Illustrato.
Franceschin abitava nei carruggi e ogni sera era a De Ferrari anche dopo cena, e nei mesi estivi di quei lontani e indimenticabili (per me) anni ’50, commentava alla sua maniera, graffiante ma piena di passione e competenza , i magri  acquisti di quei tempi, che tuttavia ci vedevano in serie A.
 
Enzo di Bogliasco, che aveva giocato nei boys del Genoa ai tempi di Juan Culiolo presidente, e conosceva uno per uno i giocatori di quel grande Genoa fine anni ’30, che lottava ancora per lo scudetto.
Enzo era sostenitore accanito del calcio uruguagio, che riteneva il migliore del mondo, e considerava l’uruguagio Figliola, il più grande mediano visto nel Genoa 
Contraddirlo, significava far nascere liti epiche delle quali conservo ancora una profonda nostalgia.
 
Mauro di San Vincenzo, genoano viscerale, che a Bergamo nel ‘68, nell’estate degli spareggi per non retrocedere in C, al termine della partita col Venezia, vinta miracolosamente per 2 a 1, era stramazzato a terra col suo fisico ingombrante e i suoi cento chili di peso, e tutti, anche i pochi bergamaschi presenti, si erano precipitati subito per soccorrerlo, perché convinti che fosse stato colto da un malore.
E invece, Mauro sorprese tutti rialzandosi da solo, ed esclamando:
“Ho baciato terra come il Papa, è stato un miracolo!”
 
E poi Loi, genoano di Sampierdarena, che teneva la bandiera del Genoa sul terrazzino tutto l’anno perché:  “i fassu muì, quelli là”.
E ogni volta che arrivava a De Ferrari erano tutti intorno a lui, perché sentirlo parlare del Genoa era uno spettacolo da non perdere.
 
E poi tanti e tanti altri ancora.
Anziani tifosi che avevano visto il Genoa degli scudetti, che parlavano di De Vecchi e di De Pra, dell'arrivo di Stabile, e dell'ultimo grande Genoa, quello di Juan Culiolo, un Presidente che in tre anni aveva comprato i più grandi giocatori che ci fossero in circolazione, per costruire uno squadrone che non vinse lo scudetto per pura fatalità.
Li ricordo tutti, uno per uno: per me loro erano il Genoa.
E ancora oggi, ogni volta che qualcuno di loro, purtroppo se ne va per sempre, è come se il Genoa, ai miei occhi, perdesse qualcosa.

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Oggi la "rametta" è meno folta di un tempo, perchè i giovani non la frequentano, come invece facevamo noi in gioventù.
I tempi cambiano e in ogni epoca nascono interessi diversi.
Forse i giovani, oggi, per parlare  di Genoa preferiscono altri modi di comunicare, come“internet”.
Ma io, pur apprezzando questo straordinario strumento di comunicazione (specialmente quando sono all'estero) non posso fare a meno di dire che la "rametta" sia davvero un'altra cosa.
O, perlomeno, che lo sia stata.

Franco Venturelli

 







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