''La linea d’ombra'' di voce sommessa
Data: 17/10/2006 12.44
Argomento: l'opinione


 

“Già. Si va avanti. E il tempo, lui pure va avanti; finché dinnanzi si scorge una linea d'ombra che ci avvisa che anche la regione della prima giovinezza deve essere lasciata indietro.”

 

 

 



Può lasciare perplessi l’accostamento della “prima giovinezza” al Genoa.

Ma chi ha detto che la sua cavalcata attraverso il “secolo breve” che fu il novecento debba per forza essere misurata col metro delle nostre effimere vite?

Se immaginiamo gli anni delle vittorie come una felice fanciullezza seguita dall’adolescenza sospesa fra i ricordi ancora vivi di quel tempo e le inquietudini per qualcosa che sembrava sfuggire, ecco che gli ultimi trent’anni possono essere interpretati come una giovinezza difficile, nell’altalena di esaltazioni seguite da delusioni profonde.

 

Così possiamo pensare al Genoa (un mondo con la sua storia, i suoi conflitti, le sue contraddizioni, i suoi vivi e i suoi morti) che arriva a maturare una esperienza più compiuta,  quasi potendo “oggi” ripetere col protagonista di The Shadow Line: “Quegli ultimi diciotto mesi, così pieni di esperienze nuove e variate, mi sembravano uno spreco desolato e prosaico di tempo. Sentivo - come posso esprimerlo? - che non potevo trarne alcuna verità.”

 

Ecco: arriviamo qui al terzo ottobre di vertice dopo diciotto mesi dei quali bisognerà aspettare che qualcuno scriva la storia, tanto sono stati contraddittori e confusi; possiamo proprio dire, con Conrad, che da essi non viene per noi alcuna verità.

 

Questo stato d’animo, che riflette il momento che il Genoa sta vivendo, è quello che separa un prima e un dopo definitivi, irrevocabili.

Anche il Genoa, il nostro Genoa (e noi con lui) in questi ultimi anni convulsi ha sperimentato il tormento delle brezze che si alzavano e cominciavano a gonfiare le vele: “Suscitavano speranze, solo per gettarle nel più amaro disappunto, promesse di avanzata, che finivano in perdita di terreno, si spegnevano in sospiri, e morivano in una muta immobilità in cui erano le correnti a determinare la direzione, la loro direzione nemica.”

 

Oggi i segni ci dicono che stiamo varcando la linea d’ombra, lasciando alle spalle le incertezze di una stagione ancora immatura per cogliere le opportunità offerte dal nuovo che sia pur faticosamente si fa strada e la cui affermazione è comunque la condizione necessaria perché il calcio non arrivi presto alla sua fine.

 

Il primo di questi segni è la Fondazione: la sua carica innovativa e il suo potenziale sono stati percepiti finora in modo insufficiente e le adesioni non sono uscite da una cerchia molto più limitata di quella concretamente accessibile.

Dalla Fondazione passa però il futuro di un Genoa competitivo, e infatti sono proprio espressione di un passato in decomposizione le ragioni dei suoi oppositori.

 

Un secondo segno è la finalmente conquistata autonomia di chi guida la società, grande novità che se confermata dai fatti concilierà le esigenze di una gestione libera da condizionamenti con quelle di una moderna relazione fra chi del Genoa possiede le azioni e chi del Genoa possiede la tradizione e le bandiere.

 

Un terzo segno, importante, è il Genoa Club for Children, che si è presentato come una scuola positiva di “tifo civile” per formare la Nord (e non solo la Nord) di domani incrociandosi (anche questo è un segno) con i più o meno temporanei forfait e le più o meno provocate intemperanze pirotecniche: l’evidente incompatibilità di motivazioni e di comportamenti è forse quello che meglio indica il passaggio di una (benvenuta) linea d’ombra anche nel tifo.

 

Ma il segno che essa sarà stata del tutto attraversata lo avremo quando ci saremo liberati delle ultime paure, suscitate dall’ostilità e dall’arroganza che qui a Genova hanno accompagnato le recenti oscure vicende, qui di seguito appena accennate.

 

La retrocessione pilotata del 2003.

Le interessate interferenze negli affari societari da parte di personaggi ai quali il ruolo avrebbe imposto il silenzio, per mille ragioni tra le quali spicca la decenza.

Le beffarde profezie del primo fra questi personaggi, che già nella primavera del 2005 poteva escludere che nella successiva stagione si sarebbe giocato il derby e che ancora decenza vorrebbe che ne spiegasse le ragioni dal banco dei testimoni, in una delle prossime udienze del processo in corso al Tribunale Penale di Genova nel quale è imputato il presidente del Genoa.

Le imprese della toga blucherchiata, con le rocambolesche iniziative nel campo più esclusivo delle garanzie, la procedura penale, iniziative poi abbandonate ma solo dopo che avevano avuto il loro effetto: il deferimento del Genoa ad una pseudogiustizia neppure capace di celebrare un regolare processo.

L’attacco obliquo al monumento che rappresenta la storia e la tradizione del Genoa: lo stadio intitolato a Luigi Ferraris.

 

Dimenticata la sindrome del complotto, il Genoa sarà finalmente pronto per le sfide della sua maturità proprio quando saprà ragionare freddamente perfino dello stadio, avendo compreso che esso non è un santuario segnato su una mappa ma una categoria dello spirito, trasformando così la devozione ad un totem nell’intransigente difesa di un principio non negoziabile: finché ci sarà il calcio (se ci sarà) il Genoa giocherà a Marassi, a Genova o in una qualunque sperduta galassia in una struttura che sopra il suo ingresso principale avrà la scritta “Stadio Luigi Ferraris”.

 

voce sommessa

 







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