Morte di Puskas
Data: 18/11/2006 00.37
Argomento: dalla redazione


 

Anche Ferenc Puskàs se n'è andato.
 
Nessuno che l'abbia visto giocare, anche se soltanto in televisione, può evitare di sentirsi colpito da questa notizia.

Sento che devo esprimermi in qualche modo, ricorrendo soltanto alla memoria, anche se farò un po' di confusione.

Ciascuno di noi è unico e irripetibile; la morte di ciascuno di noi è una perdita irrimediabile. Riguardo ad un calciatore, questa perdita in pratica si verifica già quando egli smette di giocare. Come in tutte le forme di arte, anche nel calcio, tuttavia, i massimi autori hanno la prerogativa di saper apportare, nella loro unicità, una svolta, un modo nuovo di vedere le cose, una trasformazione, spesso, se vogliamo, una rivoluzione di stile e di tattica.

 



Puskas rappresentava questo, quando apparve agli occhi del mondo calcistico la nazionale d'Ungheria verso il 1950, la quale si giovava di un quartetto di giocatori di gran classe, che erano il mediano destro Boszic (capitano della squadra e membro del Parlamento, come sembrami di ricordare), tecnico organizzatore dell'attacco, l'altro attaccante di punta Kocsis, elegantissimo longilineo (al contrario di Puskas) e straordinario nel gioco di testa, e sopratutto il grande Hidgekuti, altro longilineo, che giocava centrattacco arretrato, spesso vicino a Boszic. Quella squadra aveva inventato un nuovo modo di sfruttare gli spazi, che il palleggio in velocità praticato da giocatori di tale classe rendeva irresistibile. Non si possono non citare le due partite amichevoli contro l'Inghilterra: 6-3 a Londra  (prima sconfitta interna degli inglesi nella storia contro squadre non del Regno Unito) e un travolgente 7-1 alla rivincita a Bucarest.

Fu proprio quell'Ungheria ad essere invitata all'inaugurazione dello stadio olimpico di Roma, contro un'Italia che trovò obiettivamente alquanta sfortuna nei suoi attacchi; ma l'Ungheria era irresistibile e vinse 3-0.

Quell'Ungheria e l'Uruguay del 1924 di Vidal e Andrade furono forse le due sole apparizioni, nella storia del calcio, di squadre nazionali per le quali non esistevano avversari. Entrambe, oltre alla qualità dei giocatori, erano portatrici di una visione tattica nuova, basata sfruttamento degli spazi e sulla velicità, a cui gli avversari erano impreparati.

I quattro giocatori magiari che ho detto erano abili non soltanto per palleggio e dribbling ma anche per il tiro in porta. Dei due attaccanti di punta, nei tiri di Kocsis si ammirava la pulita precisione; ma il tiratore di forza era Ferenc. Si dice che la potenza nel tiro in porta sia in primo luogo una dote naturale, che deve essere poi sviluppata con la tecnica. Se è così, poche volte si è visto un giocatore più dotato in questo senso dalla natura. Puskas era un giocatore brevilineo fortissimo nello scatto breve e nello scarto secco, rapido nel prendere posizione e la potenza naturale gli permetteva di tirare con scioltezza e per conseguenza anche con precisione. 

Il suo tiro classico non aveva nulla di quel "tiro all'ungherese", come sentivo già definire da ragazzino il tiro d'esterno, che vedemmo effettuare spesso da un altro grande tiratore magiaro in Italia, Nyers; al contrario era un tiro pieno, piuttosto liscio, molto spontaneo.
 
Ferenc ebbe la grande sfortuna di non poter giocare il "suo" campionato del mondo, nel 1954, che io credo sia stata la competizione mondiale di più alto valore che sia mai stata disputata.

Infatti, nel gironcino eliminatorio incompleto, cioè su 2 sole partite tra 4 squadre, della fase finale della coppa Rimet in Isvizzera (una strana formula, mai ripetuta, che condusse l'Italia ad una umiliante doppia sconfitta dalla Svizzera, prima per 2-1 e poi per 4-1 nello spareggio), già alla prima partita Puskas venne messo fuori combattimento, con un brutale intervento, dal centromediano tedesco Liebrich. Costui era un forte giocatore, perno della difesa dei bianchi, che, ricordo, aveva la capacità di "spianare" le respinte al volo trasformandole in lanci rasoterra, in genere verso l'ala sinistra (Schaefer). C'è chi ha sospettato in lui un'intenzione malvagia, in vista del prosieguo del torneo! Il fatto è che Puskas, con una caviglia infortunata, non avrebbe più dovuto giocare neppure una partita. Il destino volle che la finalissima vedesse di fronte proprio Ungheria e Germania. Puskas era fermamente determinato a partecipare e tornò in campo, riprendendo la sua fascia di capitano, soltanto allora; probabilmente fu un errore, malgrado il 2-0 in breve ottenuto. La Germania alla lunga si impose 3-2 sfruttando la maggiore vigoria fisica (e poi i giocatori tedeschi sparirono per un bel po' dalla scena, anzi alcuni definitivamente, per andare a curarsi).

Dunque la semifinale Ungheria-Uruguay, molto giustamente esaltata oggi da un bravissimo scrittore in questo sito come una delle massime partite della storia, era stata giocata senza Puskas.

In questo scontro di giganti, l'Uruguay di Schiaffino e Abbadie aveva recuperato dallo 0-2 ed aveva ceduto nei tempi supplementari dopo aver colpito un palo.

Il guaio, in quel torneo fu che era sortito un tabellone squilibratissimo. Per andare ancora più a ritroso, ricordo che  le due squadre provenivano: l'Ungheria da un tremendo scontro col Brasile  (3-2); l'Uruguay dall'aver eliminato la forte l'Inghilterra di allora (4-2, un gol del trentottenne Varela su punizione, Schiaffino nel primo tempo a lungo sulla linea dell'estrema difesa).

Perciò a noi rimane, inappagabile, il dispiacere di un perduto confronto storico ai massimi livelli, e Ferenc Puskas ne avrà avuto un rimpianto per tutta la vita.

Tutto diverso il Puskas che, transfuga dall'Ungheria, era attraccato al Real di Madrid: tutto diverso, cioè, il gioco della squadra. Questo era gioco latino, informato sul vecchio Di Stefano, non più "saetta bionda", ma oramai arretrato. Era un gioco elaborato di palleggi preparatori che, contrariamente alla tattica ungherese, non tendeva a tranciare la difesa con dribbling veloci in profondità; ma offriva opportunità di andare al tiro e di brillare ad un Puskas meno giovane (giocò per molti anni ancora), che aveva un tanto grande bagaglio di classe a cui attingere.

E' stato triste che quella nazionale magiara, supremamente dotata di talenti e portatrice di una voce nuova nell'eterno divenire (che può essere anche un ritornare) dell'evoluzione calcistica, sia andata dispersa per motivi differenti dallo sport. Ma bisogna ricordare che non esiste un modo di giocare superiore in assoluto. Il gioco di squadra della Honved e della nazionale ungherese sconvolse gli schieramenti tattici d'allora, ma da questo sconvolgimento nacquero tattiche nuove e sorsero nuove difese. Anche per i trionfanti ungheresi, è da credersi, sarebbe arrivato il momento del declino.

Chissà: forse la trasformazione dello stile di gioco che trovò nel Real Madrid a Ferec Puskas concesse un più dolce tramonto.


Vittorio Riccadonna

 

 







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