Avventurosamente
Data: 11/12/2006 19.33
Argomento: il Grifone in campo


 

Treviso                         2
(Valdez, 20' p.t.; Quadrini, 8' s.t.)

Genoa                           3     
(De Rosa, 2' s.t.; Criscito, 11'; Botta, 37')

Eccomi, ancora una volta, al mio club a seguire per televisione la partita con gli amici, non avendo avuto possibilità di recarmi nella bella Treviso. Aspettatevi dunque soltanto alcuni commenti sparsi, osservazioni qua e là e qualche digressione, circa uno spettacolo comunque da non perdere, per le emozioni che ha dato.

 



Un Treviso, in maglia bianca, fatto di riserve e giovanissimi, nelle prime battute tutto in difesa ma poi presto ardito in veloci attacchi, molto vigoroso e deciso nell'aggredire i nostri portatori di palla. Qualcuno accanto a me ricordava l'amara partita di Bologna: il Genoa, che veste il rossoblù, non trova sbocchi di gioco in attacco e lascia molto spazio alle incursioni avversarie.

Per logica conseguenza, il Treviso ottiene il vantaggio, dopo averlo più volte sfiorato. Analizzando l'episodio, risalta un difetto ripetitivo già denotato in passato (si rilegga il nostro commento alla partita Genoa-Crotone, terminata 1-1) nel meccanismo della nostra difesa: calcio di punizione dalla nostra destra, difensori accentrati, palla che,  nell'occasione ben giocata di smistamento, perviene sulla nostra sinistra ad un avversario libero che è arrivato da dietro.

Ma, a differenza della partita di Bologna, il Genoa è superiore per tecnica ai difensori del Treviso e nel finale di tempo riesce ad esprimere due possibilità di pareggio, perdute, con qualche rampogna verso l'arbitro, la prima, per atterramento di Rossi che viene ammonito, la seconda, per errore di tiro di Greco (che bel passaggio di Adailton!), non posso sapere se effettuato dopo una inopportuna interruzione per fuorigioco.

Comunque, al riposo, il vantaggio dei locali è ben meritato.

All'inizio del secondo tempo il Genoa pareggia su punizione di Adailton: testa di Criscito, parata a terra, non del tutto agevole, di Avramov, che molla la palla viscida lì davanti per De Rosa.

Ancora un calcio di punizione, quasi dal limite, riporta in vantaggio il Treviso: un calcio maligno senza rincorsa che batte Barasso entrando in porta a mezza altezza dalla parte della barriera.

L'autore del gol è un molto bravo Quadrelli, che per tutto il primo tempo è stato una spina per la nostra difesa. Costui, per esprimere la propria gioia, svolge la consueta recita: si leva la maglia per far vedere una innocente scritta sottostante e riceve la debita ammonizione.

Qui vorrei un poco fermarmi.

Nel gioco del calcio, riuscire a segnare un gol dà una grande gioia, che sapere non può chi non la prova. Viene naturale, all'autore, fare salti di gioia, ridere, abbracciare i  compagni. Questa spontaneità sorge dall'animo, in forma più o meno contenuta, a seconda del temperamento del giocatore, del momento della partita, dell'importanza del risultato. Abbiamo visto giocatori signorili e ritenuti, nell'estasi della marcatura (dal freddo Verdeal al caratteriale Mancini), e altri più portati a sbracarsi. (Anche tra gli spettatori c'è questa differenza – io purtroppo sono considerato un freddo). Anche per la varietà di queste manifestazioni caratteriali affascina lo sport.

Ma questa bellezza svanisce se l'esultanza non è più spontanea, ma recitata; se i gesti di trionfo sono prove di attori, previste e studiate. In questo caso la sacralità del campo di calcio viene quasi offesa, la scena si allontana dallo sport. Io mi sento schernito se vedo fare il trenino, o esibire scritte evidentemente predisposte per l'eventuale occasione, o sento annunciare, ipocritamente, che quel giocatore non esulterà, per il fatto di aver giocato nella squadra avversaria. Ma allora esultare era una finzione? Che non esulti pure, se, nel momento fatale, non prova esultanza, affari suoi, ma mi piacerebbe che i gesti degli sportivi in campo fossero i gesti dello sport, non recite da buffoni di corte.

Ritornando alla partita vediamo subito un episodio cardine. Ancora una punizione per il Genoa dalla sinistra sulla tre quarti, ancora Adailton sul pallone per batterlo. Ancora  quello stesso Quadrini si sofferma a un paio di metri, Adailton calcia quasi a lui addosso, questi alzando un piede respinge il pallone. L'arbitro gli contesta la scorrettezza e lo espelle perché già ammonito.

I lettori dovranno essere pazienti, poiché io qui mi fermo di nuovo.

Il regolamento vuole che in caso di un calcio di punizione gli avversari stiano a m. 9,15 dalla palla.

Il fischio unico, che permette di battere immediatamente, mette in difficoltà la parte che subisce la punizione, cui può mancare il tempo di disporre la barriera o le marcature.

Scopo della norma del fischio unico è proprio la rapidità del gioco.

Le azioni dilatorie dei difensori, come quelle di avvicinarsi al pallone, sono pertanto contrarie allo spirito della norma, quindi, conseguentemente, scorrette.

Chi batte la punizione può farlo immediatamente, comunque siano disposti gli avversari, o, in alternativa, ha il diritto di chiederne all'arbitro la verifica della distanza. Non il rispetto della distanza! L'adeguamento a tutte le norme, tra cui il rispetto della distanza, da parte dei giocatori deve essere assicurato già dall'arbitro – è appunto il suo compito.

Questa, la teoria.

Nella pratica, esiste una specie di sentimento di osservanza per un'esigenza (non prevista  dalla regola) da parte dei difensori di disporre la barriera. Da qui il frequente sorgere di discussioni e attriti.

Il comportamento della classe arbitrale è sempre stato al proposito piuttosto ondivago.  Ogni tanto escono, dagli organi delegati, precisazioni o grida che richiamano severità. Una antica deliberazione della federazione internazionale (di una cinquantina d'anni fa) precisava l'obbligo di ammonire immediatamente ogni difensore che si avvicini alla palla a meno delle 10 yarde prescritte. Sembra dimenticata, nelle carte regolamentari attualmente proposte. Di fatto, comunque, vediamo spesso il difensore sulla palla a scopo ostruzionistico, tranquillo e impenitente. Peraltro, recentemente è venuta una grida contro chi compie un altro, comune gesto dilatorio: quello di trattenere o allontanare la palla. Come conseguenza di tali grida ora contro una forma di ostruzionismo ora contro un'altra, per ottenere il rispetto di un regolamento che non cambia, vediamo che gesti innocenti, come quelli di raccogliere il pallone in fondo alla rete, vengono improvvisamente considerati gravi, mentre, per inevitabile compensazione, poiché altrimenti si cadrebbe nel persecutorio, altri gesti meno innocenti trovano più tolleranza. 

Ora possiamo tornare al fatto.

L'arbitro Marelli da Como ha contestato la scorrettezza a Quadrini soltanto quando egli ha respinto il tiro di Adailton, non prima, quando, scorrettamente, si era posizionato vicino alla palla – cosa che in pratica, come vediamo, purtroppo è spesso tollerata. Ma respingere il tiro diventava lecito, dal momento che Adailton aveva battuto il calcio di punizione e quindi la palla era in gioco!

Da qui, una debolezza formale nella decisione dell'arbitro. Infatti si ha avuto l'impressione che Adailton colla sua battuta abbia voluto provocare l'intervento disciplinare dell'arbitro, che già avrebbe dovuto esserci ma altrimenti non ci sarebbe stato. Chissà, forse  nell'ambiente circolano disposizioni non del tutto coerenti con la lettera del regolamento. Ma penso che le proteste dei trevigiani avessero una logica.

Il destino ha voluto che, sulla ripetizione di Adailton di quello stesso calcio di punizione, fatto ripetere dall'arbitro, una goffa intercettazione di un difensore abbia mandato la palla contro il palo e di rimbalzo essa sia stata preda di Criscito, che prontamente segnava il secondo pareggio.

Il Treviso perdeva, contemporaneamente, un uomo, credo il suo migliore, e il vantaggio di un gol.

Cominciava così una nuova fase, il Genoa avendo la superiorità numerica e tecnica per far propria la vittoria.

Questa veniva raggiunta ancora in seguito a calcio piazzato, con l'unico tiro, mi sembra, del Genoa da fuori area in tutta la partita, deviato stranamente e smorzato, forse con  l'interno di una gamba, da un difensore.

Sul nervosissimo finale, tralasciamo: non chiara la genesi dei fatti specifici.

Conclusioni non facili da semplificare. La partita è stata contraddittoria. Tutte le porte sono state segnate in seguito a calci piazzati. Il terreno era pesante. Il Genoa ha sofferto tre infortuni, a Fabiano, Longo e Bega, che hanno dovuto essere sostituiti; per tacere di quello di Barasso, che nel finale del primo tempo per salvare la patria si è buttato alla disperata davanti ad un avversario che stava per segnare. La difesa ha avuto evidenti difficoltà provocate da un'impressionante mancanza di "filtro" a metà campo. Gli attaccanti raramente si sono liberati dalla marcatura per andare al tiro; e difatti non hanno segnato. Tuttavia la squadra si è salvata da una situazione difficile: succube nel primo tempo, ha finito per imporsi ai volonterosissimi atleti trevigiani dimostrando anche doti morali.

Proprio l'aspetto morale deve confermarsi oggi la nostra forza. Ci aspetta sabato prossimo, a squadra parecchio incompleta, un impegno difficile, contro un avversario non famoso per nome ma in forma e reduce da buoni risultati.

Questa volta concludo anch'io dal cuore: alé Genoa!

Vittorio Riccadonna

 







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