Noi, folli e inguaribili
Data: 14/01/2007 20.02
Argomento: dalla redazione


 

Quando nel nostro ambiente, intriso di rosso e blù, c'è qualcosa che va storto, il cervello si annebbia immediatamente, e tutti diventiamo incapaci di fare analisi razionali. Anche quei pochi che, in buona fede, ci provano.

Scatta un meccanismo di ribellione e usciamo di senno.

 

Secondo il mio modesto parere, bisognerebbe prendere una buona volta atto che il Genoa è un caso assolutamente particolare e unico nel panorama calcistico.

 

 



La nostra unicità sta nel fatto che viviamo in una città provinciale e abbiamo da 70 anni dirigenze provinciali.

Il che -in qualsiasi parte del mondo- porterebbe i tifosi a ragionare da tifosi di una squadra provinciale quale siamo.

 

E invece noi continuiamo, coscientemente o incoscientemente, a sognare risultati immaginari -vedi la "stella"- per poi farci dominare, in presenza di risultati negativi, dallo sconforto accompagnato, conseguentemente, da reazioni tipiche dei tifosi delle grandi squadre.

 

E questo è un problema enorme, perché impedisce una programmazione adeguata al tipo di realtà provinciale che invece da innumerevoli anni rappresentiamo.

 

Essendo una Società provinciale, che gioca in una città provinciale, dovremmo darci dei programmi da provinciale.

Il che ci permetterebbe di fare quello che in questi anni stanno facendo provinciali di lusso come lo sono l'Udinese, l'Atalanta o l'Empoli. O come lo sono state in passato la Spal di Mazza o il Padova di Rocco.

 

Se la dirigenza del Genoa potesse lavorare alla maniera di queste squadre provinciali, anche noi potremmo stare in serie A, come l'Udinese o l'Atalanta, che dal dopoguerra ad oggi, hanno fatto meglio di noi.

 

I programmi di queste squadre sono noti, perché "obbligati", e consistono, sostanzialmente, nel crescere i giovani, per poi vendere i migliori (vedi oggi, nel caso del Genoa, Criscito, oppure  Turone, Nela, ecc, in passato), e comprare giocatori all'estero ancora sconosciuti (vedi, sempre nel caso del Genoa di oggi, Milito o Forestieri) per valorizzarli e poi venderli al miglior offerente.

 

Questo fa l'Udinese -e da una vita sta bene nell'alta serie A- e questo sta provando a fare l'Empoli. E ha fatto spesso l'Atalanta.

 

Ma il Genoa può fare questo?

Sappiamo che non può.

I più anziani tra i genoani ricordano le contestazioni tremende subìte dai presidenti di un tempo, per la vendita dei Meroni (c'ero anche io in piazza, fino a notte fonda), dei Pruzzo, ecc. E anche oggi, se solo si parla di vendere la metà di Criscito, si levano subito grida di dolore.

 

In tutto questo c'è qualcosa di anomalo e di unico, che costituisce l'essenza della follia genoana.

Pretendere, cioè, di comportarsi da grande squadra, quando in realtà siamo solo una squadra provinciale. E per di più, povera, quando sappiamo benissimo che la gestione di una società di calcio richiede, ogni anno, l'impiego di ingenti capitali.

 

Fatto, questo, che dovrebbe portare noi tifosi a chiederci dove possiamo prendere tutti questi soldi, se non si vuole vendere i migliori giocatori, come fanno le altre provinciali.

 

Siamo, insomma, sempre al caso Meroni:

"Volete Meroni?", aveva chiesto la dirigenza del Genoa, a quel tempo, "allora pagatevelo".

E lanciò gli abbonamenti "quinquennali" , che in ben pochi fecero, facendo capire chiaramente che nemmeno questa strada era praticabile.

 

E allora, quale strada seguire, per incassare i soldi necessari per la gestione?

E qui sta il punto cruciale, perché a questa domanda, noi non rispondiamo.

O meglio, rispondiamo dicendo che il Genoa ha una grande storia e merita di stare tra le grandi del calcio.

 

Rispondiamo, cioè, cambiando discorso, come appunto fanno i folli, che in presenza di una realtà che li opprime, trovano scampo nell'immaginazione e nel sogno.

 

Questo è la nostra follia, in quanto comportamento totalmente irrazionale.

Ed è anche il nostro limite, perché chi gestisce il Genoa, per farlo in modo redditizio, dovrebbe poterlo fare alla "provinciale", ma ciò gli è reso impossibile dal fatto che viene giudicato come se gestisse una grande squadra.

 

Inevitabile così uno scollamento tra realtà ed aspettative e in questa forbice terribile e impietosa finiscono per essere fatti a pezzi tutti i tentativi di gestione delle varie dirigenze da 70 anni a questa parte.

 

Ma è anche la nostra forza.

Perché senza il sogno folle dei tifosi, che continuano a vedere nel Genoa quello che non c'è più da 70 anni, forse la squadra rossoblù sarebbe da tempo finita nel dimenticatoio dei semiprofessionisti, in compagnia delle sue grandi rivali del bel tempo antico, che avevano creato la leggenda del "quadrilatero" piemontese.

 

Per questo non è retorico affermare che il Genoa non è solo una squadra di calcio.

Con il fardello dei suoi 114 anni di vita grandiosa e sofferta a un tempo stesso, la squadra rossoblù è ormai l'espressione vivente di un Mito.

 

Il mito di chi, folle e inguaribile, vive continuando a vedere davanti ai propri occhi la grandezza di un passato leggendario, essendo, nello stesso tempo, condannato alla miseria e allo scherno di chi non sa.

 

Come vittima di un sortilegio messo in atto da una divinità ostile, che non permette alla squadra di ritornare grande e, contemporaneamente, impedisce ai tifosi di rassegnarsi a un presente di povertà e anonimato, il genoano, condannato a desiderare ciò che gli viene poi sistematicamente negato, non può che cercare scampo nella follia, pur di non arrendersi.

 

Al Genoa ci si dovrebbe avvicinare come ci si avvicina all'Iliade o all'Odissea.

La sua storia è un poema, che si tramanda, come i poemi antichi, per via orale, nei bar, nelle piazze, nelle strade, nelle famiglie, sugli autobus, nei negozi, sul lavoro, in vacanza, e in ogni luogo frequentato da esseri umani, dove il genoano nasce, cresce e si appassiona sempre più, in modo naturale, quasi senza rendersene conto.

 

Non sceglie, ma viene scelto, e il suo destino è quello di tramandare un Mito ai posteri.

Il mito dei folli inguaribili, come ormai credo, sempre di più, fosse l'enigmatico e coltissimo dottor  James Spensley, il Padre Fondatore della nostra leggenda.
 
Franco Venturelli
 
 






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