Genoa, e poi?
Data: 26/01/2009 19.32
Argomento: dalla redazione


 

Con la prima di ritorno è deflagrato (ancora?) il tema della “sudditanza arbitrale”.

 

Il Genoa ci si trova coinvolto fino al collo, perché questa inquietante “sudditanza” di fatto insidia il suo quarto posto, che peraltro i grandi media nazionali hanno già destinato alla Roma (o in subordine al Napoli).

 

 



Non è un caso se proprio questi grandi media nazionali si spendono nel minimizzare gli episodi sterilizzandoli nella vasta e rassicurante categoria degli “inevitabili errori umani” però  commessi in buona fede.

Ad essi si contrappone la contestazione a volte furibonda di chi denuncia neanche troppo fra le righe il “complotto” delle grandi società, sintetizzato nella ormai consunta frase “Nulla è cambiato”.

 

La mia opinione è diversa: gli errori sono tanti e possono essere ridotti con un migliore addestramento e soprattutto con una maggiore pressione istituzionale, ma non c’è nessun complotto e gli arbitri sono per la grande maggioranza in buona fede.

La buona fede però non li salva dalla supponenza e soprattutto da un pesantissimo condizionamento che li induce troppo spesso all’errore marchiano.

Questo condizionamento in realtà è connaturato ad un ambiente che sta sempre più facendo male al calcio, al “gioco più bello del mondo” nato in Italia il 7 settembre 1893.

 

Per capire come stanno le cose basta un piccolo esercizio di immaginazione.

 

Si immagini dunque un qualunque giornalista genovese perfino bravo nell’essere bipartisan ma comunque molto schierato per le squadre della sua città, e si immagini che per ragioni che la ragione non conosce alla domenica sera abbia una sua rubrica nazionale a reti unificate dove spiega ad un’audience milionaria cosa è appena successo sui campi della serie A.

 

Domande: Stovini sarebbe stato ammonito o no al 2° minuto? Si sarebbe alzata o no la bandierina a segnalare l’offside (inesistente) di Jankovic? Al momento del cross di Maicon, Adriano sarebbe stato o no sotto la doccia?

 

Il problema vero è che un errore ai danni di una delle cinque squadre che sono la spina dorsale delle “vendite” dei grandi media nazionali non solo non viene perdonato ma resta per giorni e giorni in evidenza, solo per questo provocando l’irritazione dei vertici di FIGC e AIA, con ricadute spiacevoli verso i “responsabili”.

Non c’è bisogno di scomodare importanti studi scientifici che danno risultati concordanti sia sugli uomini sia sulle scimmie per farsi un’idea di come funziona la “neurofisiologia della sudditanza”.

 

Noi andiamo allo stadio fasciati di rossoblù, ma smaltito il travaso di bile per un gol ingiustamente negato non sappiamo come affrontare la situazione che separa il Genoa dal “poi”: consolidata una struttura societaria, lanciato uno staff tecnico di prim’ordine, effettuati investimenti di successo sui giocatori, “poi” che succede?

L’ipotesi che non ci sia complotto apre qualche spiraglio per il futuro, ma esiste un modo concreto per dare una prospettiva al “poi” del Genoa di Enrico Preziosi?

 

Esiste uno Statuto nel quale a un certo punto sta scritto che uno degli scopi dell’ente che se lo è dato è quello di “promuovere iniziative di studio e di proposta riformatrice dell’ordinamento sportivo italiano, con particolare riguardo a quello del calcio”.

 

Il tema della sudditanza è attuale, è intrigante, ha portata nazionale e ci sarebbero perfino proposte suggestive da fare; in più questo è un caso di scuola nel quale gli interessi del calcio coincidono con gli interessi del Genoa.

Dato che lo Statuto citato è quello della Fondazione Genoa 1893, potrebbe essere questo uno spunto di riflessione per chi la regge?

 

L’esperienza maturata in un anno di presenza ai suoi vertici mi fa rispondere di no, perché la prassi di cui ho dovuto prendere atto è l’esatto capovolgimento di un detto famoso, che appunto capovolto suona “de maximis non curat praetor”:  per questo penso che lì nessuno del “poi” del Genoa si curerà.

 

E tanto di più lo penso dopo quello che mi è capitato ieri.

Salito sul treno delle 13.05 per Genova Brignole, mi sono seduto vicino a cinque viaggiatori "fasciati di rossoblù", di età scaglionate abbastanza regolarmente sull’arco di un mezzo secolo iniziato nel 1929 (come poi con un certo orgoglio mi è stato detto dall’interessato).

Naturalmente quando si è manifestata una appassionata competenza tecnica sulla squadra e sulle prospettive di mercato unita ad aneddoti su Verdeal e sui leggendari rigori di Frizzi mi sono permesso un outing e dopo un po’ mi sono permesso anche la domanda “Avete qualche opinione sulla Fondazione?”.

 

Un forse disinformato ma certo unanime e solido disinteresse è stata la risposta, quasi senza parole.

Ed è finita lì.

 

Maurizio Pezzolo

 

 







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