Stadio Luigi Ferraris domenica ore 15.00: La Fantasia al Potere
Data: 20/02/2009 21.07
Argomento: dalla redazione


 

Nato in Inghilterra e trasmesso in tutto il mondo dagli stessi inglesi, fino agli anni ‘60 il “football” ha mostrato volti diversi, a secondo dei popoli che lo praticavano.
Chi ha visto i Mondiali del 1954, i primi trasmessi dalla tv italiana, ha potuto notare le profonde differenze tra il gioco praticato dall’Inghilterra, veloce, fisico e leale, finalizzato sempre a cercare il gol, gioco d’attacco quindi, spettacolare ed emotivamente avvincente, e il gioco di Paesi Sudamericani come Brasile, Uruguay e Argentina, estroso, imprevedibile, orchestrato da giocatori fantasiosi che si esaltavano nel dribbling e nella creatività. Gioco altrettanto emotivamente avvincente.


 



Ma i Mondiali del ‘54 avevano avuto anche il pregio di mostrare gli ultimi fuochi del favoloso calcio danubiano, che benché ormai in fase di decadenza irreversibile, aveva dato spettacolo con la grande Ungheria di Puskas,
la squadra più forte del mondo di quegli inizi degli anni ’50. E con un’Austria ancora in grado di rievocare gli splendori del “wunderteam” del leggendario Sindelar (che ai Mondiali del ’38 si era rifiutato di giocare nella
Germania nazista e successivamente venne trovato morto misteriosamente insieme alla sua convivente).
A differenza del calcio votato all’attacco degli inglesi, che applicavano ancora il “Sistema”, e del calcio fantasioso dei sudamericani, il calcio danubiano era pura geometria.
La palla era tenuta sempre rigorosamente rasoterra come nel calcio sudamericano, l’azione però non si affidava alla creatività ma al ragionamento.
Ogni mossa era calcolata, al punto che uno dei massimi giornalisti dell’epoca, l’inglese Ivan Sharp, ebbe a chiamarlo “football da scacchi”, per sottolinearne l’intelligenza.

Gli inglesi dunque avevano messo nel gioco del football la cultura dei College dove il football stesso si era sviluppato, cultura che aveva nell’esercizio fisico e nella lealtà sportiva i suoi principali cardini.
I sudamericani vi avevano immesso, invece, la loro inclinazione ribelle al rispetto delle regole e dedita alla creatività individuale e al virtuosismo tecnico.
I danubiani, infine, lo avevano interpretato alla luce della raffinata cultura mitteleuropea di fine ottocento - inizio novecento, capace di esprimere movimenti importanti come la “Secessione Viennese” in Austria e il movimento artistico “Die Brucke” in Germania, poeti del livello di Rainer Maria Rilke e di von Hoffmannsthal e la musica di Gustav Mahler.
*
I Mondiali del ’54 furono gli ultimi a dare la possibilità di vedere le tre grandi scuole storiche del fooball internazionale, ancora i condizione di potersi contrastare da pari a pari.
Dai Mondiali successivi in poi, mentre la scuola sudamericana, grazie al Brasile di Pelè vivrà un lungo periodo di dominio assoluto vincendo tre Mondiali su quattro tra il ’58 e il ’70, la scuola danubiana sarà sempre meno
protagonista, fino praticamente a sparire.
L’ultimo sussulto lo dette l’Ungheria del grande Albert ai mondiali del ’66, ma fu una specie di canto del cigno.
Nel frattempo, ad opera degli olandesi stava crescendo un nuovo modo di interpretare il calcio, che sarebbe apparso di prepotenza sulla scena nel corso degli anni ’70, con l’Olanda di Cruiff, il primo fuoriclasse del
cosiddetto “calcio totale”.
"Calcio totale" che cambiò profondamente il gioco del football.
L’innovazione che lo caratterizzò principalmente fu il cosidetto “pressing”, che altro non era che una marcatura a uomo a tutto campo.
Fino ad allora ciascuna delle due squadre in gioco aveva la possibilità di impostare l’azione con una certa tranquillità fino a metà campo, e la differenza la facevano i giocatori di classe capaci di inventare calcio.
Col "calcio totale", la differenza cominciò a farla la preparazione atletica e l’efficienza fisica.
Il gioco infatti si velocizzò molto, perché a causa del pressing asfissiante era diventato indispensabile giocare la palla con maggiore rapidità Va da sé che i giocatori di classe continuarono a fare la differenza, ma a patto però di un maggior impegno fisico e di una maggiore velocità di esecuzione anche da parte loro.

I vantaggi di questo modo di interpretare il calcio, da un punto di vista spettacolare furono molto discutibili, perché, come sosteneva Ivan Sharpe già negli anni ’50 nei suoi appassionati articoli sul “Calcio Illustrato”,
maggior velocità nel football non significa necessariamente migliore qualità del gioco.
Ma dal punto di vista del risultato, i vantaggi vennero ritenuti importanti, per cui specialmente in Europa, col tempo tutti si adeguarono alle nuove regole.
Più restii ad accettare il pressing furono come al solito i sudamericani.
Già al tempo dell’innovazione portata dal “Sistema” ideato negli anni ‘20 dall’inglese Chapman nell’Arsenal, i sudamericani non si erano lasciati “corrompere” ed erano rimasti fedeli alla loro interpretazione del football,
rifiutando l’uso della marcatura sistematica a uomo e del “libero” staccato dietro tutti.
Nel caso del “calcio totale” accadde qualcosa di simile.
Per i sudamericani il gioco del football resta tuttora un evento creativo, anche se qualcosa hanno dovuto modificare per far fronte alla strapotenza atletica del calcio europeo.
Calcio europeo che però si avvale moltissimo dei giocatori sudamericani, i quali giocando nei campionati europei, se da un lato portano la loro tecnica mediamente superiore, dall’altro sono costretti ad assimilare i
fondamentali del gioco europeo.

La diffusione del “pressing” e la presenza di così tanti sudamericani in Europa, ha portato col passare dei decenni ad una “globalizzazione” del gioco del football, riducendo sempre più le differenze tra le scuole
calcistiche fondamentali.
Si può facilmente constatare che oggi le squadre di calcio, specialmente in Europa, giocano quasi tutte allo stesso modo.
Cambiano i moduli con cui stanno in campo, ma lo spirito non è più quello di arrivare al risultato con il gioco, ma di fare il risultato indipendentemente dalla qualità del gioco.
E’ un segno dei tempi anche questo.
E in un certo senso anche questo riflette la cultura della nostra epoca, che globalizzandosi ha eliminato la fantasia dalla vita quotidiana per sostituirla con l’efficienza del risultato ad ogni costo, riducendo così la vita
stessa ad una sola dimensione: quella “esecutiva” volta a perseguire il risultato.
Principio questo sul quale si basa, com’è noto, l’economia del nostro tempo, dove il risultato (dei "bilanci") è re.
E dire che l’ultimo grande Movimento di livello internazionale, quello del “Sessantotto”, insorto contro questo modello di “uomo a una dimensione” (quella esecutiva), era fondato proprio sulla volontà di portare “la fantasia
al potere”…..
Oggi, ironia della sorte, la fantasia non è al potere nemmeno più nel calcio.
Gli unici che oppongono ancora qualche resistenza sono i “torceadores” del calcio sudamericano, che alla fantasia non rinunciano (per ora) né nella vita privata, né allo stadio.
*
Cosa c’entra tutto questo col Ferraris e col Genoa?
Beh, con un po’ di fantasia (lupus in fabula) qualcosa c’entra.
Il Genoa sta tentando un’impresa quasi impossibile: andare contro il gusto dell’epoca, fondato sul principio del “conta solo il risultato” per riportare in auge un concetto caro al football di un tempo, del quale il Genoa stesso è stato in passato uno storico portabandiera, che consiste nell’idea semplice e al tempo stesso (oggi) rivoluzionaria, di "arrivare al risultato" attraverso il gioco" praticato "con sportività" dai propri giocatori.
Ricerca del gioco e sportività dei giocatori, sono dunque le basi di un Genoa che sta tentando una rivoluzione epocale.
Questa mentalità che nel Genoa si sta imponendo, comporta come conseguenza la necessità di “inventare” calcio e quindi di mettere nuovamente la fantasia al potere.
Rivoluzione quasi impossibile, dicevo, perché la “Fantasia al potere” è già stata sconfitta quarant’anni fa dalle forze conservatrici coalizzate tra loro.
E insieme alla "restaurazione" sono stati saldamente inculcati nella testa delle persone i concetti di “inutilità della fantasia” e del “conta solo il risultato” grazie all'opera incessante della stampa e delle tv di stato e private.
Ma il football, capace di affascinare nella sua immediatezza milioni di spettatori, può fare miracoli.
Per questo il Genoa -questo Genoa che qualcuno vorrebbe far passare per sprovveduto solo perché cerca il risultato col gioco- per me va invece sostenuto senza mezzi termini e con coraggio in questa missione impossibile, che se dovesse riuscire farebbe brillare in cielo la stella della fantasia e sulla maglia rossoblù la stella del “decimo”.

Franco Venturelli


 







Questo Articolo proviene da Genoadomani
http://www.genoadomani.it

L'URL per questa storia è:
http://www.genoadomani.it/modules.php?name=News&file=article&sid=2361