Una partita che non scordo - I
Data: 11/08/2010 15.49
Argomento: dalla redazione


 

Confronto storico

 

La voce più grossa la faceva Masi il fiorentino. Decidemmo, bisognava andare. Eravamo in cinque; genovese io soltanto, poiché Fumi di San Pier d’Arena non ne ebbe lo slancio - lui si dava importanza, era in fureria.

 

La partita era determinante e illuminante. Il campionato era a un varco.

 

 

 



Rancio veloce ed eccoci alla biglietteria della stazione di Novara, in una temperata giornata di sole. Pagammo il biglietto a cuor leggero.

 

Gioventù!

 

Lo stadio di S.Siro non era certo quello di ora. Quando arrivammo, ormai sul tardi, la gradinata, che era staccata a sé, era colma e senza varchi percorribili dal basso. Ancora adesso non so, non ricordo, come riuscimmo nell’impresa di scalare i tre o quattro metri del muro laterale esterno, mi sembra quasi un sogno; eppure ci si arrampicammo, per poi ricadere negli spalti dall’alto, sulla schiena dei milanesi. Largo! Fate largo.

 

Ci facevano da lasciapassare i fez cremisi.

 

La Fiorentina arrivava a Milano come prima in classifica e imbattuta. Le milanesi, che  inseguivano, il lunedì precedente avevano tre punti di distacco. La grande novità, che aveva tormentato la vigilia, era il serio incidente occorso al centralf Rosetta in settimana nel ricupero di Padova. Rosetta, che io non ricordo di aver visto giocare, era perno e organizzatore della difesa, si scriveva, e la sua mancanza gravissima. I giornali sportivi, quotidianamente divorati da noi in caserma, descrivevano il dubbio amletico di Bernardini: o cambiare l’assetto della sua organica squadra per l’intero finale del campionato spostando il solidissimo mediano Chiappella al centro della difesa oppure azzardare al posto di Rosetta la riserva Orzan, un giocatore piuttosto oscuro.

 

Formazione annunciata in campo: Orzan!

 

Un’Internazionale di valore, schierata per l’attacco. Uno Skoglund inafferrabile si aggirava con la palla attaccata al piede vellutato: non sfondava, ma il gioco era costantemente in mano ai milanesi. A guardia della porta proprio sotto di noi il freddo Sarti era sostituito da Toros, un giovane veneto, credo, a cui occorsero anche un paio di tuffi impegnativi. Come sempre, la difesa viola su avvaleva dell’appoggio di Prini a sinistra e Gratton a destra. Era la lotta tra la squadra di casa che ricorreva  per necessità alla furia dell'offesa e la squadra di fuori che cercava di conservare la lucidità del pensiero calcistico che era il suo bagaglio specifico. Calci d’angolo uno dopo l’altro, ma resisteva.

 

Resistette per quasi tutto il primo tempo. Poi, cedette. Una estrema azione arrembante dell’Internazionale ebbe la conclusione dall’agile Lorenzi. 1-0. Svolta del campionato?

 

A questo punto, l’accadimento memorabile.

 

I viola mantengono la calma dei forti. Si distendono in campo aperto, con misura. Non è un impeto di massa, ma un sottile attacco di minoranza, negli ampi spazi dove la palla corre verso un compagno che si è liberato. Da loro, l’abbiamo visto fare tante volte! In una piccola manciata di minuti, forse l’Inter ha bisogno di respirare, la partita cambia. Poi Julinho sfugge largo sulla destra con la sua elegante e veloce falcata, manda al centro, dove arriva Virgili, un brevilineo scattante di media statura. Quasi libero, Virgili ha davanti in diagonale soltanto un avversario che sta per affrontarlo. Il pallone è invitante. Può stoppare, tentare l’aggiramento, entrare in area di rigore ...  Invece,. Cosa fa? Tira al volo! E la palla, precisa, vola e entra proprio esattamente nell’angolo alto della porta di Ghezzi.

 

I giocatori tornano negli spogliatoi sull’1-1 mentre io cerco di decifrare quello che ho visto. Ammetto che negli anni mi sono soffermato a rimuginare quelle idee che, non nuove a me, avevano trovato ulteriore solare applicazione e mi hanno poi accompagnato.

 

Tirare al volo quel pallone era logicamente stupido, quasi uno sprecare il primo attacco serio della Fiorentina, che aveva bisogno di rimontare. Non conviene azzardare il tiro di sorpresa da fuori area, se l’azione ti promette diversi migliori  sbocchi.

 

Però, quell’anno, a Virgili riuscivano anche i tiri difficili.

 

Dunque non vinse la logica che consigliava l’azione più opportuna, bensì lo spirito, la convinzione dell’attaccante. In altra parola, la fede.

 

E essenziale saper cogliere quel misterioso istante che precede il fluire del pensiero. Il fare d’istinto, che anticipa la consapevolezza che viene dalla ragione.

 

Una spregiudicatezza inserita in una squadra cosciente del proprio gioco d’assieme geometrico e ragionato, un insieme capace di superare le condizioni difficili. Il gioco pianificato fuso con il gioco imprevedibile.  

 

L’anno successivo, per il capocannoniere Virgili l’incantesimo era rotto: segnò in totale, mi sembra, tre gol.

 

Ripresa la partita, la possanza oramai confusa dell’Inter si smarrì e la Fiorentina ottenne la vittoria come da un teorema si ottiene la dimostrazione, come prova di intelligenza applicata. Il titolo di campione da quel momento era suo. 

 

Quella Fiorentina lasciò un segno nella storia del calcio italiano. Il grandissimo Sarti doveva diventare il portiere di Helenio Herrera. Della coppia di terzini, Cervato, rispetto a Magnini, era il più brillante sia come tiratore che difensore che sapera accentrarsi. Della coppia di laterali, Segato era un tecnico sostegno per l’attacco. Per Julinho, ala destra, non bastano gli aggettivi. Il cileno Montuori era un motorino scattante e grande stoccatore: quanto sfortunato! Per una pallonata in faccia, gli sarebbe capitato di doversi ritirare per danni gravi alla vista. Falsa ala sinistra era Prini, che giocava a tutto campo. Ma principalmente sostanziale a quel giuoco e novativo fu lo schieramento, che si allontanò dal “sistema” inglese basato sul quadrilatero.

 

La Fiorentina doveva perdere l’imbattibilità proprio dal Genoa all’ultima giornata.

 

= = =

 

A questo punto, eccomi di fronte alla lecita domanda dei miei cari lettori, che certamente diranno: e di tutto questo a noi cosa ce ne importa? cosa ci vai a raccontare? hai sbagliato indirizzo? volevi scrivere su un altro sito?

 

No: volevo proprio scrivere su GenoaDomani.

 

Una partita di alta qualità, vissuta senza particolare passione per una delle due squadre ma soltanto dal punto di vista dell’osservatore, dell’aficionado di calcio, può ugualmente rimanere tanto impressa nella memoria da entrare a far parte della storia, di quella storia personale che rappresenta il cammino, unico e insostituibile, di ciascuno di noi e magari non collima poi del tutto con la verità assoluta, poiché non è detto che i ricordi siano fotografi del tutto fedeli, tuttavia contribuisce ad impostare la nostra personalità.

 

La storia del Genoa e la storia del calcio non sono indipendenti e le evoluzioni importanti del gioco, come le onde di una sassata in uno stagno, si diffondono e coinvolgono tutte le sponde.

 

Ho voluto ricordare quei vecchi tempi, quando le formazioni erano più stabili (undici nomi da recitare a memoria), si giocava senza sostituzioni e le vicende tattiche della partita si svolgevano solo dai giocatori che l’avevano iniziata. Se il centrocampo, ad esempio, andava in crisi, non esisteva il ricorso alla panchina. C’era tutto un altro spazio per il confronto tra le diverse tattiche. Il giuoco di ogni grande squadra era diretto a creare proprio quei varchi che portavano alla superiorità strategica nella fase decisiva, come certo sa chiunque ricordi, ad esempio, il movimento instancabile di Valentino Mazzola, che diventava irrefrenabile a un certo punto della partita – scusate se per fare un esempio mi son riferito ad un monumento del calcio di tutti i tempi; ma capirete che diminuzione sarebbe stata, per la quella transitiva bellezza di footboll, se gli avversari avessero potuto chiamare un marcatore fresco, o più d’uno a turno, dalla panchina, per spegnere un tale creatore di gioco. 

 

Inoltre, nessun incidente, nel racconto che vi ho fatto, nonostante la ressa e la scomodità, invece serenità e coesistenza tra le varie falangi di tifoserie, pur senza seggiolini, tornelli, scorte di polizia, recinti.

 

Vi ho raccontato quasi una scorreria felice in un territorio dimenticato, lontano nel tempo della giovinezza.

 

Oggi?

 

 

 

Vittorio Riccadonna 

ha rievocato:

 

Internazionale-Fiorentina 1-3

Milano, 4 marzo 1956

XXI giornata

 

Internazionale:

Ghezzi; Fongaro, Vincenzi; Celio [ex Genoa], Ferrario, Nesti;

Armano, Massei, Vonlanthen, Lorenzi, Skoglund.

 

Fiorentina:

Toros; Mangini, Cervato; Chiappella, Orzan, Segato;

Julinho, Gratton, Virgili, Montuori, Prini.

 

Arbitro: Orlandini.

 

Marcature: 38’ Lorenzi; 44’ I t. Virgili; 23’ II t. Virgili; 25’ Prini.

 

 

 







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