''diversi, quanto ancora?'' di voce sommessa
Data: 13/05/2011 19.56
Argomento: l'opinione


 

In principio, dico sempre, furono i colori.

Smagliante lo stacco fra il rosso e il verde del campo, ma futile senza il nobile blu che lo legittima.

La diversità (poi capii che anche i quarti facevano gioco) ai miei occhi era imbarazzante per gli ospiti nelle loro righine petulanti o nei noiosi azzurri rossi granata viola, per non parlare delle ridicole strisce, che la prima volta ero sicuro fossero uno scherzo.

Neppure il design dei creativi di oggi riesce ad avvicinare il fascino che ha la maglia a quarti rossoblù del mio Genoa.

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Ma incombevano gli squadroni, ai quali era riservata la lotta per lo scudetto.

Era però chiaro che la loro competizione riguardava vittorie normali, in un calcio normale, in tempi normali.

Diversi i nostri nove, non più ripetibili perché frutto di vittorie leggendarie nel calcio dei pionieri in tempi nei quali tutto avrebbe potuto finire nel nulla quasi prima di essere cominciato.

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Si andava avanti così, con un po’ di rammarico per le classifiche troppo spesso piangenti ma con il consapevole orgoglio di avere un diverso sentire.

Per noi la Nord era un luogo dello spirito.

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Quando nella torrida Bologna si consumò la farsa di uno zero a zero obbligato fra Genoa e Perugia, in una fase demenziale degli spareggi per la retrocessione dalla B alla C, per me fu come partecipare alle esequie del calcio che avevo amato.

Così due anni dopo non mi accorsi subito che il Genoa in C era la sublimazione della più orgogliosa delle diversità: il 13 giugno del 1971 il Ferraris in festa per la promozione dopo il 2-1 al Rimini fu la degna cornice all’impresa che mai nessuno aveva pensato possibile, sopravvivere all’inferno, e tornare.

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Poi gli anni cominciarono a rotolare senza controllo, ma le alterne vicende intorno alla maglia a quarti rossoblù rimasero intrecciate alle mie, perché l’orgoglio di quelle diversità restava intatto.

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La storia però sembrava prendere strade ostili, e solo la solidarietà complice fra genoani consapevoli di cosa significasse esserlo alimentava la speranza di resistere.

E infatti, finalmente e senza preavviso, la proprietà del Genoa passò di mano.

Non senza turbolenze e sordi rancori, ma che la nuova gestione avesse un nerbo inaspettato e si ponesse in certo modo in contrasto col calcio malato nel quale ci tocca stare era ancora una volta un segno di diversità beneaugurante.

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Negli anni recenti sono accadute cose da Genoa, come abbiamo imparato a dire un po’ per esorcizzarle e un po’ (sempre) per la fierezza di essere diversi, ma un Presidente di grande spessore e la sorprendente idea della Fondazione hanno disegnato scenari nei quali ancora una volta il Genoa avrebbe potuto aprire strade nuove.

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L’affermarsi sul campo di una squadra con un suo assetto di gioco stabile, nel quale diventava possibile la valorizzazione dei giocatori insieme a una continuità di risultati, perfino legittimando qualche ambizione per anni coltivata in segreto, è sembrato a molti il punto di partenza di una nuova avventura nella quale il Genoa ancora una volta poteva, grazie alla sua diversità, giocare un ruolo importante.

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Sentire la Nord cantare che il derby non si regala, accorgersi che molti, troppi (giocatori compresi) capivano invece che il derby non si vende, mentre in campo si ripeteva lo sconcertante spettacolo già visto nell’ultima mezz’ora del derby di febbraio di una squadra obbligata alla prudenza, ecco: questo ha indicato che qualcosa per ora è andato storto.

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La Nord comincia a somigliare alle altre curve, la Fondazione è un’emanazione della Società senza essere entrata nel cuore di nessuno, la squadra è in attesa di una guida.

In questo scenario la diversità del Genoa sbiadisce pericolosamente.

Restano i colori, il verde del campo, la maglia a quarti, i nove scudetti leggendari.

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Da qui sembra proprio che voglia ripartire Enrico Preziosi, forte di una sua capacità personale di fare calcio e della solidità societaria che ne è la conseguenza.

Nel passato rossoblù forse può trovare il suggerimento di guardarsi dall’omologazione e di custodire i valori che in un calcio tendente allo squallore fanno ancora del Genoa e dei genoani qualcosa di diverso.

 

voce sommessa

 

 

 

 







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