Cent'anni fa al Genoa fu negato un rigore per ... xenofobia
Data: 18/02/2012 21.12
Argomento: l'Ospite


 

Le più recenti vicende calcistiche hanno proposto all’attenzione dei media le dichiarazioni dell’allenatore della Juventus Antonio Conte I relative alla mancata concessione alla sua squadra di calci di rigore piuttosto netti (in particolare, quello per fallo di mano di Simone Vergassola in Juventus-Siena 0-0 del 5 febbraio 2012) per una sorta di sudditanza psicologica rovesciata.

 

 



Chi ha contestato tali dichiarazioni ha voluto vedere in esse l’esibizione dell’idea che l’errore arbitrale non sia provocato da una mancata percezione visiva del fallo o da una sua errata interpretazione, ma da un preconcetto che porterebbe l’arbitro ad essere non il giudice (umanamente fallibile) della partita, ma il suo regista.

 

Le dichiarazioni fornite dal capitano del Cagliari campione d’Italia nel 1970, Pierluigi Cera, alla trasmissione Sfide di RAITRE sulla gestione pilotata dal «principe del fischietto» Concetto Lo Bello sr. di Siracusa dei calci di rigore nell’incontro decisivo del 15 marzo di quell’anno, pareggiato dagli isolani per 2-2 sul campo dell’inseguitrice Juventus, sono emblematiche.

 

Tornando ancora indietro nel tempo, va ricordato in occasione del suo Centenario, un fatto accaduto sul “Campo del Genoa” a Marassi, che coinvolse un tesserato della Juventus, il quale in quell’occasione svolgeva funzioni non di giocatore, ma (secondo l’usanza del tempo) di arbitro: Umberto Malvano. Quel 18 febbraio 1912 il direttore di gara torinese, mandato a Genova a dirigere il big match Genoa-Pro Vercelli, che avrebbe visto il successo per 1-0 dei campioni d’Italia piemontesi, non trovò di meglio da rispondere al genoano Murphy, che protestava per la mancata concessione di un evidente calcio di rigore: “Bisogna essere italiani per vincere qui!”. Il sodalizio rossoblù protestò ufficialmente presso la Federazione Giuoco del Calcio per l’evidente “mal d’animo nei confronti del Genoa” dimostrato dal signor Malvano, il quale, probabilmente non insensibile alla propaganda nazionalista che stava esaltando i successi italiani nella Guerra di Libia, aveva abusato della sua autorità per favorire la rigorosamente autoctona Pro Vercelli a spese della sua avversaria multietnica (che nell’occasione aveva schierato cinque inglesi, tre svizzeri, un italo-peruviano e due italiani).

     

                                                                                                                      Stefano Massa    

 

 

 

   

 







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