Impressioni dall'Europeo
Data: 12/07/2016 23.35
Argomento: dalla redazione



Con un certo distacco e scarsa passione abbiamo osservato la vicenda del “campionato europeo”: i declini, le nuove forze, i risultati imprevisti; il prevalere di uno stile di gioco.

Se guardiamo indietro alla storia dei confronti tra le nazionali, riconosciamo in alcuni periodi il dominio di volta in volta di una certa formazione: baciata dalla sorte di disporre di un gruppetto di assi di valore a volte indimenticabile, ma anche appoggiata su una novità tattica che lasciava gli avversari impreparati (Uruguay, Ungheria). Tali periodi di dominio hanno avuto termine naturale coll’invecchiamento dei giocatori e coll’evoluzione delle tattiche.



Noi ammiriamo una formazione che eleva al massimo livello una particolare tecnica di gioco e già sappiamo che la sua eccellenza non è destinata a perdurare. Invece perdurerà l’effetto che avrà portato all’evoluzione del gioco.

Parimenti importante nell’evoluzione del calcio è il controgioco, studiato e via via adottato per contrapporsi a quella inarrivabile perfezione tecnica, tattica e artistica. Anzi, non sta proprio qui un miglioramento, un progresso in assoluto? Sarà la reazione a dettare la vera strada maestra per il calcio futuro? Oppure, una volta decaduto per logoramento l’eccellente modello a cui si opponeva, decadrà anche la sua appropriata contromisura?

Il “campionato europeo” appena concluso ha dato indicazioni chiare. Se non consideriamo gli episodi che, dipendendo anche dalla casualità, possono determinare il risultato delle gare e rovesciarne l’andamento , e invece guardiamo al gioco in senso generale, possiamo affermare senza dubbi quale è la tattica che oggi si dimostra vincente. Non consiste più nello sviluppo di un gioco di vasta architettura. Consiste invece in questo: è la difesa che assume la massima importanza e tutta la squadra coopera per chiudere i corridoi verso la propria porta.

Si tratta di uno sviluppo tattico, su basi studiate direi scientificamente, della eterna contesa, nel campo di calcio, che ha lo scopo di acquisire spazi per il proprio attacco e di negarli agli attacchi dell’avversario. Non basta una descrizione banale per descrivere un fenomeno complesso ma gli osservatori di queste partite non avranno potuto non rendersi conto di un cambamento epocale.

Già ebbi a scrivere di aver percepito per la prima volta, de visu, il nascere di questa nuova concezione di giuoco osservando il Genoa guidato da Scoglio. Per la prima volta, notai che un’insidiosa ala avversaria era lasciata costantemente libera presso la linea laterale, senza che il nostro terzino - cosa inaudita – andasse a contrastargli la presa del pallone. Mi suonò stupefacente poi una frase di Scoglio, che disse a un giornalista: “di proposito non l’abbiamo marcato”. (A volte una semplice frase apre una nuovo modo di pensare).

Oggi è comune, direi a tutte le squadre, accentrare la difesa in funzione attendista, senza mandare il terzino al contrasto (scusate la vecchia terminologia). E’ normale scorgere un attaccante libero presso la linea laterale ad aspettare il passaggio in tranquillità.

Si cura invece l’appoggio reciproco dei difensori; cosa possibile se si trovano vicini tra loro. Con estrema attenzione si studiano le tecniche delle marcature: raddoppi, cambi, coordinazione. I comportamenti dei difensori sono governati dall’intelligenza. I tackle si fanno spietati, il giudizio sui falli arduo. Manca il tempo ai fini dicitori.

Di fronte all’avversario che si chiude, il gioco d’attacco di ampio respiro, di manovre complesse, di palleggi insistenti, trova difficili sbocchi. Naturalmente dalle mischie o da tiri fortunati il gol può uscire, diventa infrequente tuttavia vedere un attaccante libero al tiro.

La sorte delle due squadre iberiche: il declino della Spagna e il successo del Portogallo, lungi dall’essere casuale, è il più vero significato della competizione.

Già nei 10 minuti iniziale della prima partita dell’Italia, si poteva comprendere che l’apparente prevalenza del Belgio era sterile e invece erano i nostri attacchi di minoranza a penetrare nel vuoto: il forte Belgio era destinato a perdere quella partita. Il rimanente del torneo ha confermato questo andamento.

Smagrire il gioco d’attacco è un inizio di declino? Soffocare i fantasisti bisogna? Le brillanti individualità vengono obnubilate? Il calcio si fa meno divertente?

Abbiamo visto, nel corso del torneo, qualche partita dove entrambe le squadre si mantenevano rinserrate: partite giocate con intelligenza ma noiose, in un equilibrio senza sbocchi che non fossero casuali.

Sembra dunque oggi che l’arte sovrana, se è diventata quella della difesa, possa essere pareggiata e neutralizzata dalla sua replicazione frontale. Non poteva succedere così quando l’arte sovrana era l’attacco.

Non può essere la noia il destino del calcio.
Sarà il principio di reazione a dettare qualcosa di nuovo.
Non disperate.


Vittorio Riccadonna







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