Fiorite maschere del confinamento
Data: 05/06/2020 17.05
Argomento: dalla redazione



Si incontrano in giro persone amiche o ignote, colla faccia occultata da una mascherina da confinamento, di cui qualcuna anche guarnita di effigi significative di un’idea della vita. Ne ho notate di belle davvero, artistiche.



Questa moda, certo passeggera, mi ha ricordato un racconto di fantasia di un lontano futuro in un lontano pianeta, dove la popolazione considerava indecente mostrare il volto, così come a noi succede per altre parti del corpo: tutti portavano maschere, mutandole a ogni occasione secondo le circostanze, per cui le vere identità restavano ignote e ciascuno veniva appellato non secondo il proprio nome ma dall’immagine della maschera del momento. Il protagonista del racconto era impegnato nella ricerca di una persona di cui conosceva il vero nome: la ricerca approdò al finale riconoscimento attraverso una paziente indagine psicologica sul senso che si poteva attribuire alle successive maschere che aveva utilizzate nel tempo. (*)
Che idea interessante.
La maschera, come specchio della personalità interna.
L’immagine sulla maschera, una buccia che ricopre una buccia.

Ho scoperto l’analogia dell’oggi tra noi, nella persona che nasconde il volto attraverso una mascherina decorata, la quale rappresenta un simbolo (squadra di calcio o nazione) o un quadro di fiori oppure di arte astratta, esprimendo così un qualcosa della persona stessa. Come detto la moda è passeggera ma porta a un pensiero.
Tutti noi, in fondo, portiamo una abituale invisibile maschera dell’ipocrisia. Il nostro umano desiderio è di apparire migliori di quel che siamo, mentre nel nostro inconscio si agitano e si protendono pensieri abominevoli e pulsioni inconfessabili.
Sta nella nostra natura: non è da detestare del tutto.

Tuttavia le buccie che usiamo per ricoprirci e nasconderci non sempre sembrano innocenti o innocue.

La televisione di stato in questo periodo ci gratifica d una serie di famose opere liriche riprese dagli archivi (RAI5), col costante avvertimento che sono state riprese prima del coronavirus. L’altro giorno mi sono accostato alle Nozze di Figaro per riascoltare almeno l’ouverture, che è un gioiello. Oramai hanno l’abitudine di accompagnare i preludi (sinfonici) con scene e immagini fuori contesto, e questa volta si vedevano ... delle donne che lavavano il pavimento ! [ sic ]. Il regista, ricoprendo la musica colla buccia di una tale azione servile, aveva certo in mente una visione superna di arte. Ma a me il contrasto disturbava l’ascolto, offuscava il lucore di quella perla musicale. Pertanto, poiché manca il pomello per eliminare il video, parallelo a quello che elimina l’audio, spensi il televisore. La definirei: Reazione di Ostracismo.

Qui non siamo esattamente nel campo dell’ipocrisia. Questa era una buccia di tipo diverso. Unica ragione, dicevo, starebbe nella visione di arte superna. O forse ne esiste altra?

Lo stadio di Reggio nell’Emilia, di proprietà Sassuolo, presenta seggiolini colorati (non l’unico in questo) con i vari colori distribuiti apparentemente a caso. Anche qui una visione di arte superna? Ma invece lo scopo sembra quello di smorzare l’evidenza degli spalti vuoti in caso di scarsa affluenza. Quindi in un certo modo il desiderio del club di apparire migliore. Corrisponde in questo caso il concetto dell’ipocrisia.

Ed eccoci infine ai quei vari progetti agitati dagli enti televisivi di creazione di pubblico finto, alle prossime partite a porte chiuse. Ho letto di spettatori di cartone; di urla del pubblico assente; di altoparlanti che riprendono e amplificano messaggi telefonici; di giochi di luce per abbagliare; e chissà cos’altro può proporre la tecnica.
Qui non regge più la spiegazione psicologica di ipocrisia, la quale, pur se anch’essa deprecabile, potrebbe servire in un certo qual modo da motivazione.
No, qui non c’è l’obiettivo di apparire migliori, da parte delle TV; anzi l’effetto contrario.
Qui la buccia sarebbe aberrazione malandrina. Non ci sarebbe alcun rispetto per i tifosi spodestati.

Chi immagina e progetta tali volgarità nel campo sportivo si trova immerso in un suo mondo speciale e ne ha subìto una deformazione professionale, che gli rende voluttuoso il trionfo del potere delle immagini e lo persegue. Ne ha già l’esperienza - cento volte in TV, quale elenco se ne potrebbe fare ! Non capisce e disconosce ormai quei limiti che noi ancora teniamo per cari come simbolo del vecchio senso sportivo.
Noi che siamo di fronte a questo non troviamo difese.
Ci rimane la Reazione di Ostracismo.

Ma lasciamo cadere questi sospetti. Sono soltanto immaginazioni. Prepariamoci a televedere le gradinate onestamente vuote. Così sia, per chi vuole.


Vittorio Riccadonna


(*) Jack Vance: La falena lunare.







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