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l'Ospite"Due raccontini genoani inediti" di Gianni Roj
02/12/2004

Riceviamo dall'Avv. Gianni Roj questi due raccontini ("Fanta Genoa" e "Regina") che diffondiamo con grande piacere, ringraziando l'illustre autore per aver scelto "Genoa domani" come editore.


FANTA GENOA

L’uomo finì di sfogliare la pila di tabulati che aveva sulla scrivania e premette il pulsante dell’interfono.
- Annie, cerchi John Pressgrapes e lo mandi da me per favore –
- Subito Mr. Thompson – rispose la vocina dall’apparecchio e dal tono si capiva che sarebbe stato subito per davvero: non si fa attendere uno dei direttori della NASA e meno che mai se è il responsabile del progetto per l’esplorazione di Marte.
Infatti qualcuno bussò alla porta dopo pochi minuti.
- Avanti – disse Mr. Thompson e sulla soglia comparve un uomo sulla quarantina un po’ stempiato, con gli occhiali, button-down bianca con le maniche corte e il taschino zeppo di matite e pennarelli.
- Mi ha fatto chiamare Mr. Thompson? chiese l’uomo, più curioso che intimorito, ma quando ti chiama il Gran Capo non si sa mai.
- Sì John – rispose Mr. Thompson sorridente –siediti che dobbiamo parlare – e John si accomodò su una delle sedie di fronte alla scrivania,  anche se non ancora completamente rilassato.
- Come sai, incominciò Mr. Thompson, la sonda Surveyor ha già fotografato Marte sette anni fa con la Telecamera Orbitale Marziana, ottenendo delle buone immagini ma che, comunque, erano state scattate da una distanza di 72 milioni di chilometri per cui più di una risoluzione di circa 64 km per pixel non si era  riusciti a ottenere… Quella missione è niente in confronto a quello che accadrà la settimana prossima – proseguì Mr. Thompson.
John annuì: Mars Pathfinder era stata un successo per l’epoca ma la nuova missione che si sarebbe conclusa di lì a pochi giorni e per la quale tutto il Centro spaziale di Houston era in agitazione,  era mirata  a ottenere risultati incomparabilmente migliori.
Infatti due veicoli robotizzati, molto più mobili del loro predecessore perché in grado di percorrere oltre 40 m. sul terreno del pianeta Marte ed entrambi erano dotati di attrezzature sofisticatissime, sarebbero stati sbarcati in due differenti punti di per accertare se su Marte c’erano o c’erano state forme di vita.
- Subito dopo l’atterraggio – spiegò Mr. Thompson - si aprirà una specie di airbag e ogni veicolo rotolerà almeno una dozzina di volte prima di fermarsi, dopo circa un chilometro. A quel punto il veicolo si aprirà, un po’ come i petali di un fiore, e la telecamera inizierà le riprese.
Saranno le prime immagini del pianeta riprese da una distanza di pochi metri -continuò Mr. Thompson con visibile entusiasmo –e inviate sulla terra da un pianeta così lontano…Le principali televisioni d’America, ABC, NBC, CNN , saranno collegate in diretta e ritrasmetteranno le immagini in tutto il mondo –
Mr Thompson non lo disse ma una gran parte delle riprese lo avrebbe inquadrato, perché le postazioni dei telecronisti erano state piazzate proprio vicino al podio da cui lui avrebbe diretto le ultime fasi dell’operazione.
- Per cui John, proseguì Mr. Thompson, dobbiamo fare in modo che tutto fili liscio, soprattutto in quest’ultima parte…Tu sei uno dei migliori web designer che abbiamo e il tuo compito sarà quello di seguire tutte le fasi dell’atterraggio e curarti  che le riprese siano perfette. OK? –
- Certo Mr. Thompson, grazie – disse John ancora un po’ frastornato dalla responsabilità che gli era stata appena affidata – farò del mio meglio –
- Voglio dire, proseguì Mr. Thompson abbassando impercettibilmente la voce e sporgendosi in avanti sulla scrivania, che per mille ragioni – i nuovi fondi che ci dovrà assegnare il Congresso, le televisioni di tutto il mondo collegate in diretta – non possiamo permetterci che qualcosa vada storto, non possiamo proprio… Mi capisci John?
- Non so, forse, rispose John con aria perplessa.
- Intendo dire - e la voce di Mr. Thompson era ancora più bassa – che nell’atterraggio qualcuna delle apparecchiature potrebbe subire dei piccoli danni e non mandarci le immagini che tutti ci aspettiamo… Per cui, in questo caso, tu dovresti stare pronto con i tuoi computer a dare, come dire?, un’aggiustatina…insomma a fare in modo che, comunque – e questa parola Mr. Thompson la sottolineò con un tono di voce più alto per essere certo che le implicazioni fossero ben comprese – le immagini siano perfette. E’ chiaro adesso? –
- Sì, credo di sì – disse John ancora un po’ esitante - se capisco, dovrei creare al computer delle immagini di Marte e essere pronto a trasmetterle se quelle del robot non dovessero andare bene… –
- Il come è affar tuo, lo interruppe Mr. Thompson, io non voglio nemmeno saperlo e anzi, se qualcosa non dovesse andare, noi non ci siamo mai parlati… Ma sono sicuro che tutto andrà bene. D’accordo? –
- A John non restò che acconsentire: - Certo Mr. Thompson -
- Molto bene – disse Mr. Thompson, porgendogli il pacco dei tabulati che aveva sulla scrivania,
queste sono tutte le specifiche tecniche che ti servono e  per qualunque altra cosa chiedi direttamente a Annie… io sono molto occupato in questi giorni -
John uscì dall’ufficio con la pila di carte sotto il braccio, pensieroso. Era stato incastrato. D’accordo i fondi del Congresso e le televisioni, ma Mr. Thompson voleva soprattutto pararsi la schiena in caso di imprevisti e aveva scelto lui per “aggiustare” le immagini.
Il compito era difficile ma John sapeva di poterci riuscire perché con il computer era una specie di mago, in grado di disegnare quasi qualunque cosa. Con un sospiro di rassegnazione si avviò verso la sua stanza.

***

A quell’ora di notte le luci dell’immenso salone di controllo del Centro spaziale di Houston erano abbassate e la penombra azzurrina era punteggiata dai lampi multicolori delle spie delle varie apparecchiature.
Una figura si profilò su uno dei monitor che controllavano gli accessi al salone e subito l’addetto alla sicurezza depose la rivista che stava sfogliando e con un gesto quasi involontario sistemò la pistola nella fondina per andare incontro all’uomo che avanzava nel corridoio.
- Ah, è lei Mr. Pressgrapes, disse la guardia quando l’uomo fu più vicino.
- Ciao Bob, come va? – rispose John che aveva comunque tirato fuori il suo tesserino di identificazione
- Bene bene, rispose Bob subito rilassato: conosceva Mr. Pressgrapes da almeno dieci anni e sapeva che aveva tutte le autorizzazioni necessarie per entrare nel salone a qualunque ora.
- Per questa storia di Marte vi fanno lavorare come matti, eh? aggiunse poi tanto per dimostrare la sua comprensione.
- Eh sì, ma il Gran Giorno è domani e Marte non tiene conto degli orari della terra, per cui…Ci vediamo Bob - salutò John dirigendosi verso la sua postazione.
Quando John ebbe finito di battere sulla tastiera dei tre computer che facevano da anfiteatro alla sua scrivania era quasi l’alba e tuttavia già molti tecnici, ancora con l’aria un po’ assonnata e il tazzone di caffè in mano, incominciavano a entrare nel salone: mancavano solo sei ore al momento fatidico dell’atterraggio.
- Buon giorno John – salutò uno di loro - volevi essere il primo ad assistere allo spettacolo?
John annuì, soffocando uno sbadiglio: - Mentre voi dormivate, io stavo qui a prepararvi la pappa, rispose stiracchiandosi sulla poltrona – adesso vado a mettere qualcosa sotto i denti e ci vediamo dopo.
Quando di li a un’ora John tornò nel salone, quasi tutti erano ormai al loro posto e le voci degli operatori: che, cuffie in testa e occhio agli schermi dove, di secondo in secondo, si vedeva l’avvicinarsi del veicolo al pianeta, sembravano il brusio di un unico, gigantesco alveare.
Anche i tecnici delle varie televisioni stavano sistemando le loro telecamere e uno di loro faceva prove di intervista con Mr. Thompson, che, in previsione di essere ripreso, era tra i pochi a vestire una camicia azzurra (che non “spara” sullo schermo televisivo) anziché bianca.
All’entrare di John, Mr. Thompson gli lanciò un’occhiata interrogativa, ricevendone in risposta rassicurante il gesto del pollice alzato. Tutto era pronto per il grande momento.

***

- Amici telespettatori, qui è il vostro Dan Whitefield che vi parla in diretta dal Centro di controllo della NASA di Houston. Fra pochi minuti, secondo la tabella che ci è stata comunicata, il razzo vettore dovrebbe arrivare sul suolo di Marte e liberare i veicoli che ci manderanno in diretta le prime immagini del pianeta. Ma abbiamo qui con noi Mr. Alan Thompson, direttore del progetto, che ci darà gli ultimi aggiornamenti sulla missione. Come sta andando Mr. Thompson? -
- Decisamente bene - rispose Mr. Thompson stando bene attento a guardare dentro la telecamera per essere sicuro di una buona ripresa - il piano è rispettato al secondo –
- E quindi per quando si prevede l’atterraggio su Marte? – chiese Whitefield.
- Il primo impatto con il pianeta avverrà esattamente fra 5 minuti e 46 secondi …Poi ci vorranno ancora alcuni minuti per completare l’atterraggio e permettere la liberazione dei veicoli e la loro messa in azione – la voce di Mr. Thompson era rassicurante e professionale.
- Quando vedremo le prime immagini? - continuò il telecronista.
- Tra circa mezz’ora – rispose Mr. Thompson dando un’occhiata al suo orologio – ma ora mi scusi  perché devo lasciarla un attimo  per l’ultima fase - con un sorriso Mr. Thompson si staccò dal microfono.
- Certo Mr. Thompson, grazie, ci vediamo dopo l’impatto…Si sta avvicinando la conclusione di una delle più ardite imprese spaziali, che ha avuto inizio a luglio 2003 -continuò il telecronista - e che seguiremo per voi secondo per secondo. Pensate che  i motori del razzo sono stati in grado di sviluppare una potenza di.…- e proseguì sciorinando una serie di dati tecnici per far trascorrere gli ultimi minuti prima dell’atterraggio, mentre la telecamera faceva panoramiche del salone “zoomando” ogni tanto su un Mr. Thompson impegnatissimo a dare ordini dentro il microfono auricolare.
- Sembra Nelson sulla tolda della Victory - pensò John che non aveva perso di vista Mr. Thompson un istante ed era a sua volta pronto davanti ai suoi computer.

La tensione nel salone di controllo era quasi palpabile e gli occhi di tutti passavano dagli schermi dei loro computer a quello gigante posto in fondo alla sala, mentre il veicolo era ormai a poca distanza da Marte.
- Ecco amici, manca pochissimo – il tono del telecronista era eccitato come quello di un presentatore che scandisce i secondi che mancano alla mezzanotte di capodanno - chiediamo a Mr. Thompson se può stare con noi per commentare  quest’ultima fase…- e, ovviamente, in quel momento di massimo ascolto, Mr. Thompson gli si materializzò accanto.
- Ci siamo - disse Mr. Thompson con la voce tranquilla di chi ha tutta la situazione sotto controllo - si sono già accesi i retrorazzi che rallenteranno la caduta, fra trenta secondi si aprirà il paracadute… ancora un istante, ecco…adesso…Touch-down!- finalmente anche la voce di Mr. Thompson si era alzata di tono e manifestava entusiasmo
Le sue ultime parole furono sommerse dall’applauso di tutti i presenti che si erano levati in piedi e scambiavano congratulazioni l’uno con l’altro, molti volgendo i loro battimani verso la postazione dove Mr. Thompson torreggiava con aria modestamente compiaciuta e soddisfatta.
- E’ un grande successo -commentò euforico dentro il microfono - un grande successo di tutti noi concesse - ma il più difficile viene adesso –
Sullo schermo grande infatti si vedeva il vettore rotolare sul terreno di Marte , protetto dagli airbags che si erano gonfiati al momento dell’impatto. Dopo una corsa che parve interminabile ma che era durata in realtà poco meno di un chilometro, il veicolo si fermò con un ultimo dondolio sui palloni di gomma che ne avevano attutito la caduta e il salone respirò di sollievo.
- Ora – disse Mr. Thompson senza attendere neppure la domanda dell’intervistatore – dovrebbero uscire i due “rovers” – e in effetti, di lì a pochi secondi, il veicolo si aprì sui lati, come una specie di enorme fiore i cui petali fossero sbocciati contemporaneamente e apparvero come due carrettini cingolati.
- Ecco i rovers - ormai anche la voce di Mr. Thompson aveva perso il distacco professionale e tradiva l’entusiasmo – fra breve incominceranno a muoversi…-
- Amici – intervenne il telecronista, qui a Houston è un momento di grande soddisfazione, finora è andato tutto nel migliore dei modi, aspettiamo che i “rovers” inizino la loro marcia - e, proprio mentre pronunciava queste parole, i carrettini presero a muovere lentamente in due direzioni diverse. Dopo pochi metri si bloccarono entrambi e dalla sommità uscì una specie di periscopio che incominciò lentamente a ruotare. Quando la telecamera periscopica ebbe compiuto un intero giro su se stessa, i rovers ripresero la marcia.
- Tutto bene? – chiese il telecronista.
- Molto bene – esclamò Mr. Thompson – molto bene. Fra poco avremo le prime immagini e in diretta – concluse non potendo trattenere un ultimo sguardo verso John, quasi a cercarne una conferma. John contraccambiò lo sguardo con aria sorridente.
- Amici - il telecronista sembrava quasi voler ingoiare il microfono – pensate: per la prima volta nella storia il suolo del pianeta Marte sta per essere ripreso da vicino e questo permetterà di stabilire se su Marte c’è o c’è stata una qualche forma di vita…ma ecco, vediamo che i rovers puntano le loro telecamere, incominciano a riprendere…Mr. Thompson vuole commentare? –
- Certo – Mr. Thompson aveva riacquistato la sua aria professionale – le telecamere sono a infrarossi e riprenderanno il terreno con una visione a 360 gradi. I rovers hanno un’autonomia che gli permette di esplorare in un giorno più terreno di Marte di quanto non abbia fatto Sojourner nel corso della sua intera missione…-
- Ecco – interruppe il telecronista – stanno per comparire le prime immagini, vediamo piano piano che si formano dei colori… il rosso…
- -Normale – interloquì Mr. Thompson - Marte è proprio chiamato il “pianeta rosso”…-
- Poi un altro colore si evidenzia – continuò Whitefield - sembra blu, sì è proprio blu -
- Probabilmente manganese o un minerale sconosciuto – provò a spiegare Mr. Thompson.
- - E ora  si sta profilando una forma strana – la voce del cronista era esitante – una forma che…è quasi incredibile ma lo vedete anche voi, sembra un gigantesco uccello, un rapace-
- Forse uno pterodattilo – azzardò Mr. Thompson con voce incredula. Volse lo sguardo verso John e quello lo ricambiò facendogli OK con la mano. Un po’ perplesso Mr. Thompson si volse nuovamente verso lo schermo su cui le immagini apparivano via via sempre più chiare.
- Il disegno è opera di qualcuno e questo, amici vuol dire che su Marte c’è stata vita, forse c’è ancora – il telecronista era eccitatissimo quasi farfugliava per parlare più svelto – se è così siamo di fronte a una scoperta sconvolgente, tra le più importanti della storia …aspettiamo ancora qualche istante che le immagini diventino più chiare, ebbene sì, è proprio un rapace, una specie di aquila, è come se fosse disegnata in mezzo a quella superficie rossa e blu che ha quasi i contorni di uno scudo…anzi è uno scudo. Amici è incredibile – il telecronista non riusciva a contenersi – un…un animale mitologico, ecco, un grifone e qui su Marte, forse il dio di una popolazione che ha abitato questo pianeta, non riusciamo a credere ai nostri occhi…Mr. Thompson, lei che dice? –
Ma Mr. Thompson era ammutolito e anche in televisione si vedeva che aveva cambiato colore.
- Non è finita, amici, ci sono dei segni alla base dello scudo, come se fosse una scritta, forse il primo campione della lingua marziana…un attimo che la telecamera si avvicina…adesso si vede, leggiamo…GE NO A FO RE VER sillabò Whitefield.
-  GENOA FOREVER? – La telecamera mostrò un’immagine del telecronista Dan Whitefield incredula e stupita.
- JOOOOOHN – il grido di Mr. Thompson esplose nel silenzio del salone dove tutti si erano improvvisamente zittiti e fissavano il grande schermo su cui campeggiava quell’enorme scudetto rossoblù con il grifone nel mezzo e la scritta di sotto.
Ma il posto di John era deserto: nella confusione che aveva seguito la comparsa della prima immagine “marziana” per il mondo, John B Pressgrapes, in realtà Giovan Battista Sciaccaluga, emigrato da Genova in America vent’anni prima ma genoano viscerale da sempre e rimasto tale anche in America, di quelli che vedevano la partita nella Nord attaccati alle griglie del campo, era scomparso.
Bob, la guardia della sicurezza, disse quando lo interrogarono, che Mr. Pressgrapes si era allontanato con un sorriso che sembrava andare  da un’orecchia all’altra: - Mai visto uno con l’aria così felice – dichiarò all’agente che raccolse la sua deposizione.

Gianni Roj

REGINA

L’ingegner Filippo ***  cercava di riprendersi dagli effetti del jet-lag godendosi sul terrazzino di casa il tiepido sole di una primavera ormai in arrivo. Reduce quella domenica mattina da una settimana di lavoro in un’acciaieria vicino a  Buffalo, aveva appena avuto il  tempo, il giorno prima, di fare un giretto a  New York per comprare qualche regalino a sua moglie e adesso, tra uno sbadiglio e l’altro, stiracchiava le gambe ancora indolenzite dal viaggio e sfogliava il giornale, di cui era rimasto privo per tutta la settimana.
Un titolo della cronaca sportiva attirò la sua attenzione: “Oggi derby della Lanterna”. Accidenti, in quel posto dimenticato da Dio dove era appena stato, i giornali italiani non arrivavano e con tutte le cose che aveva avuto da fare il genoanissimo Ing. Filippo si era quasi dimenticato che quel giorno si sarebbe giocato Genoa-Sampdoria . Era troppo tardi per andare a Genova  ma la radio del complesso stereo incassato nella libreria avrebbe fornito tutti gli aggiornamenti sulla partita.
La prospettiva contribuì a migliorare ancora l’umore già buono dell’Ing. Filippo: i risultati della sua missione erano stati soddisfacenti e il fatto che la società avesse mandato in America proprio lui, che era tra i più giovani  e assunto solo da un paio d’anni, indicava la fiducia del capo dell’ufficio tecnico e che le sue quotazioni erano in ascesa. Forse, alla fine dell’anno, non era azzardato sperare in un aumento di stipendio.
Se l’aumento fosse arrivato davvero, Filippo e la moglie avrebbero potuto completare l’arredamento della casa: si erano sposati pochi mesi dopo che lui era stato assunto e, anche se, grazie a genitori e a regali di nozze, avevano l’essenziale, i pezzi mancanti e oggetto del desiderio durante i giretti in centro del sabato pomeriggio erano ancora molti.
A distrarlo da queste fantasie arrivò la voce della moglie dalla cucina: “Quando  vuoi venire a tavola è pronto – cinguettò Mariella che , felice per il ritorno del maritino, aveva apparecchiato con il servizio di Christofle e si era cimentata in una pasta al forno la cui ricetta le aveva insegnato la madre. Forse il risultato non era proprio all’altezza degli insegnamenti – qua e là lo strato superiore della pasta era bruciacchiato e quelli inferiori ancora un po’ crudi – ma si sa che gli inizi sono sempre difficili e, in ogni caso, il pranzo rivelava l’amore con cui era stato preparato.
Eh sì. Filippo e Mariella si volevano proprio bene e avevano percorso insieme la strada di molte altre coppie come loro: conosciuti a una festa negli anni dell’università, poi fidanzati in casa, prima laurea per lui e poi per lei, qualche mese dopo, mentre lui finiva di comandare un plotone di artiglieri in Friuli. Al ritorno, più carico di freddo che di gloria militare, Filippo aveva trovato lavoro a Milano e a quel punto, finalmente, ai due non restava che sposarsi.
Adesso, superato il rodaggio dei primi tempi di matrimonio, si godevano la loro casetta in un complesso residenziale dell’hinterland milanese, vicino alla scuola dove Mariella aveva trovato da insegnare.
Alle occhiate interrogative o alle mezze frasi che, ogni tanto, le rispettive mamme – impazienti di diventare nonne - lanciavano per sapere se “c’erano novità”, Filippo e Mariella rispondevano in maniera vaga che “c’era tempo”: in realtà erano ben decisi e attenti a non far crescere famiglia ancora per qualche anno, consci dei sacrifici che l’arrivo di un bebé avrebbe comportato.

Dopo il pranzo, Filippo aiutò Mariella a  sparecchiare e mentre lei caricava la lavapiatti andò quatto quatto nel salotto per accendere la radio.  Non fece in tempo a sintonizzarsi che la voce dell’annunciatore interruppe lo studio centrale: “Qui Genova, la Sampdoria ha segnato con Zecchini”  e subito il buon umore di Filippo calò considerevolmente. Spense la radio, tornò in cucina , dove si sforzò di sorridere a Mariella che, vedendone l’espressione, lo guardò un po’ perplessa: “Tutto bene ?” chiese premurosa.
“Sì sì” rispose Filippo “adesso disfo la valigia”.
“Bravo, rispose Mariella, così faccio una caricata della lavatrice “.
Filippo arrivò in cucina di lì a poco reggendo un sacco di biancheria sporca e alcuni pacchetti.
“Queste sono per te e per me “ disse porgendoli a Mariella “forse è il caso di dare una lavata anche a loro”.
“Che cos’è” chiese Mariella.
“Guarda” rispose Filippo e Mariella si asciugò le mani nel grembiule e incominciò a sfasciare i pacchetti.
“Eh, che belle” disse Mariella mentre estraeva dalla carta una mezza dozzina di magliette che Filippo aveva comprato il giorno prima a New York: la Statua della Libertà, l’Empire State Building, l’immancabile “I  Love the Big Apple” col cuoricino, il simbolo degli Yankees campeggiavano in un tripudio di colori mentre Mariella dispiegava le magliette compiaciuta.
Filippo la lasciò a sistemare quel piccolo tesoro – in Italia era impossibile trovare magliette del genere - e tornò  in salotto, l’umore appena rasserenato dalla contentezza di Mariella. Il tarlo del vantaggio della Sampdoria continuava a roderlo…Si avvicinò alla radio, fece per accenderla, cambiò idea, poi la speranza di scoprire che la situazione era cambiata prevalse sul timore che fosse rimasta la stessa e accese: trasmettevano dagli altri campi e quasi ovunque il primo tempo stava per finire ma proprio quando Filippo, nel suo irrequieto girovagare, stava per tornare in cucina,  il collegamento si interruppe e si udì il boato che accompagna la segnatura di un gol: “Qui Marassi, il Genoa ha pareggiato con Damiani”, la voce di Ameri, genoano notorio, faticava a rimanere imparziale. Per Filippo, il mondo tornò a colorarsi di rosa in un istante: saltò dalla poltrona, dimentico delle gambe indolenzite, e iniziò a rotolarsi sul pavimento in una specie di danza di giubilo solitaria.
A interromperne le evoluzioni arrivò la voce di Mariella: “Come sto ?”
Filippo si volse  sorpreso e, sdraiato sul pavimento, vide Mariella sorridente, appoggiata allo stipite della porta, in posa da femme fatale e con indosso una delle nuove magliette: in una frazione di secondo Filippo registrò che i seni della moglie spingevano in avanti le cime di un paio di grattacieli e, dalla posizione in cui era, che sotto la maglietta Mariella non portava molto, anzi non portava nulla.
“Ma quella maglietta è mia” provò a dire con la voce già semi impastata.
“Se è tua vienitela prendere” rispose Mariella dileguandosi nel corridoio e nel movimento un lembo della maglietta si sollevò confermando a Filippo di aver visto giusto: l’unico, sottile  ostacolo tra il suo improvviso desiderio e il luogo dove soddisfarlo era rappresentato dallo Sky line di New York impresso sul cotone.
Filippo partì all’inseguimento della moglie e riuscì quasi subito nell’intento di recuperare la sua maglietta, anche perché lei – dopo tutto lasciata sola per oltre una settimana - non chiedeva di meglio .
Dolce è il ritorno a casa del guerriero quando ad accoglierlo sono chiome bionde e braccia disponibili: Filippo, già rimesso di buonumore dal pareggio del Genoa e infiammato dal sia pure fuggevole spettacolo delle grazie coniugali, dimenticò di colpo stanchezza e fuso orario, rumori dell’acciaieria e tensioni della settimana appena trascorsa  e si lasciò andare all’abbraccio trepido e impaziente di Mariella .
I due erano sposati abbastanza da poco tempo perché l’amore coniugale fosse ancora fonte di sorprese e non già stanca consuetudine: mentre il pomeriggio di inizio primavera andava lentamente avviandosi verso la fine, Mariella e Filippo si ritrovavano piano piano, esplorandosi a vicenda con baci e carezze,  come se prolungare l’attesa del momento in cui si sarebbero uniti li rassicurasse del fatto di esserci ancora l’uno per l’altra …Poi non ressero più all’urgenza del loro amore e Filippo si lasciò scivolare con dolcezza in una Mariella tenera ed accogliente, iniziando una sorta di saliscendi verso il paradiso.
Calava e risaliva Filippo, calava e risaliva, prima accolto da Mariella e poi quasi impercettibilmente da lei incalzato, aumentando il ritmo all’unisono, sentendone ad ogni discesa i seni non più  coperti dalla Sky line di New York induriti e frementi. Era facile smarrirsi in quegli abissi ma Filippo sapeva che quando avesse avvertito laggiù in fondo la famigliare sensazione dell’onda che stava per arrivare, sulle prime lieve come il fruscio di mille ali di farfalla e poi via via sempre più prepotente, ecco, in quel momento doveva serbare un briciolo di autocontrollo e rinunciare all’ultima discesa.
C’era ancora tempo per scendere una volta, un’altra, un’altra ancora, il respiro di Mariella si faceva più veloce, appena interrotto dai sussurri di lei “Sì, adesso, sì, sì”, le ali di farfalla avevano incominciato a frusciare sempre più forte , adesso bisognava risalire, adesso…Filippo si preparava al balzo e proprio in quel momento la radio che era rimasta accesa e  dimenticata come un rumore di sottofondo, gracchiò più forte: “Qui Marassi”, la voce di Ameri era quasi un urlo gioioso, “il Genoa ha segnato con Pruzzo !”
La resistenza della fragile barriera di autocontrollo che Filippo stava faticosamente cercando di tenere in piedi era già messa a dura prova dall’intensificarsi affannoso dei gemiti di Mariella e l’annuncio di Ameri ruppe quel delicato equilibrio con la forza dirompente di un  fiume in piena.
“ O REY*” esclamò Filippo non più capace di contenere il flusso del proprio entusiasmo e non solo di quello: la gioia sportiva esplose all’unisono con quella dei sensi, in un crescendo che dapprima portò Filippo a ripetere il nome dell’autore del gol – “, O REY O REY – sempre più forte e poi, a mano a mano che la piena si placava,  a mormorarlo  nel collo velato di sudore di Mariella: “o rey, o rey, o rey…

Per questo la splendida bimba che nacque  nove mesi dopo Filippo e Mariella la chiamarono Regina.

Gianni Roj

* i tifosi avevano soprannominato Pruzzo, centravanti del Genoa, “O REY di Crocefieschi



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