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l'opinione"Dalla Cronaca alla Leggenda" (1) di Franco Venturelli
13/04/2005

In una vecchia rivista del 1933, che ho in casa da sempre, è possibile trovare, leggendo tra le righe, i capisaldi di una genoanità delle origini, mirabilmente esposti dallo stesso Presidente del Genoa e dalle maggiori personalità del mondo del calcio e del giornalismo sportivo dell'epoca.

In tantissimi anni che seguo il Genoa, non mi è mai capitato di leggere una recensione o un riferimento a questa pubblicazione, che secondo il mio modesto parere è di un interesse straordinario per gli appassionati della storia del Genoa e dei suoi tifosi, e che andrebbe conservata per mostrare alle nuove generazioni le radici del nostro senso di appartenenza.
La rivista era stata pubblicata in occasione delle celebrazioni dei primi 40 anni del Genoa e io vorrei ricordarne, per sommi capi, alcuni passi tra i più significativi, suddividendo gli argomenti in tre parti.

 


Parola di Presidente

La rivista si apre col saluto del Presidente del Genoa A.V. Ardissone, che si rivolge, guarda caso, non "ai tifosi", ma "ai fedeli". Il che dice già tutto sul rapporto, esistente a quei tempi, tra Società e appassionati al seguito.
E lo fa esibendo, fin dal primo periodo, una frase "forte", che chiarisce subito quale fosse lo "spirito" dei fedeli, che altri chiamano banalmente tifosi.


Genoani doc per il quarantennio:
Ghiorzi, Pasteur, De Grave Sells, Sanguineti, Goetzlof e Ardissone

Infatti nel saluto il Presidente dice chiaramente:
"a quelli che non condizionano il loro amore alle vittorie e alle sconfitte della squadra".
Quando, dunque, i giovani genoani di oggi affermano che "gli altri" sono costretti a vincere per esistere, mentre noi esistiamo indipendentemente dal vincere o perdere, forse non lo sanno, ma esprimono un pensiero che è fortemente radicato nella Società Genoa, fin dalle origini.

Nel passo successivo, il Presidente si rivolge ai giocatori, e qui ci troviamo di fronte ad un'altra frase "forte". Infatti parla di:
"l'altissimo spirito col quale (....) i nostri giocatori hanno sempre agitato la loro bandiera" che è un modo per dire che hanno sempre onorato la maglia.
Poi passa a sottolineare:
"la lealtà e l'onestà sportiva e civile della Società Genoa"
preoccupandosi di precisare che:
"anche se la squadra non è in testa alla classifica (.) la cosa essenziale è che le tradizioni di cavalleria sportiva rimangano intatte, l'essenziale è che la più antica squadra di calcio italiana, la nostra, rimanga sempre l'esempio che fu in passato."

Verso il finale, ecco poi un'altra frase che dice tutto sul carattere dei genoani.
Afferma infatti il Presidente che affinché il Genoa possa continuare ad essere d'esempio a tutti come in passato:
"occorre la collaborazione di tutti i fedeli, occorre anche che essi alla passione, talvolta smodata, quasi sempre cieca, per la propria squadra, sostituiscano l'affetto sereno, equilibrato, consapevole."
Questo è un passaggio importante perché ci fa sapere che anche ai tempi in cui vincevamo gli scudetti, la "passione" dei genoani era "smodata" e "cieca" e che dunque nulla è cambiato col passare delle generazioni.

Ecco allora, riepilogando, come dalle parole stesse del Presidente di quei tempi gloriosi, emergano i capisaldi della genoanità delle origini, che poi,nel corso del tempo, si è mantenuta intatta fino ad oggi:
- tifosi "fedeli", che non condizionano il loro amore alle vittorie o alle sconfitte, animati da una passione talvolta "smodata" e quasi sempre "cieca"
- giocatori che onorano la maglia
- Società "leale" e "onesta", animata da tradizioni di "cavalleria sportiva", esempio per tutte le altre.

Ultima nota, una dedica fondamentale:
"Al nome di Luigi Ferraris -conclude il Presidente Ardissone- dedichiamo oggi il nostro Campo (scritto con l'iniziale in maiuscolo): la sua vita permeata di idealità e di purezza, il suo sacrificio glorioso, siano sempre di esempio e di sprone ai dirigenti, ai giocatori, ai fedeli".
Queste parole dovrebbero essere ricordate a chi, ogni tanto, se ne esce con l'idea di abbattere il Ferraris.

Franco Venturelli

 



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""Dalla Cronaca alla Leggenda" (1) di Franco Venturelli" | 3 commenti
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Re:
di Abbadie56 il 19/04/2005 05.49

caro Dustin ti rispondo da questo stesso sito, per quanto posso. * 1. Non so francamente quanto tempo abbia oggi Preziosi per pensare anche a ricucire il filo della nostra storia, per usare le tue parole. Con certezza, invece, si può dire che ogni volta che gli è stato chiesto di intervenire per salvaguardare la nostra storia, lo ha sempre fatto tempestivamente, come nei casi da te citati. Il che vuol dire che è sicuramente sensibile all'argomento. Quanto alla sede a Pegli non ho ancora ben capito tutti gli aspetti della questione, e quindi non posso dare un parere. Certamente si tratta di un posto prestigioso. Su questo non ci piove. * 2. in 50 e più anni che seguo il calcio a livello internazionale, grazie alla tv, posso dire che, entro i limiti imposti dalle sempre più intense preparazioni atletiche, ho sempre visto le grandi squadre esprimere un certo tipo di gioco proprio, e di nessun altro. In Italia, il Milan è sempre stata la squadra che ha giocato il calcio più tecnico (penso al Milan del famoso trio Gren.Nordhal-Liedholm, a quello di Schiaffino-Rivera, a quello di Dino Sani, fino a quello attuale), l'Inter il calcio più antispettacolare (negli anni '50 e '60 ha vinto col catenaccio, prima con Foni, poi con Herrera) e la Juve un calcio che fa coesistere la classe dei suoi campioni con lo spirito del gioco provinciale (la Juve non molla mai, ha classe ma "picchia" come le squadre di provincia) Questo naturalmente è solo il mio parere di spettatore, senza nessuna pretesa di dare giudizi tecnici per i quali non ho la preparazione per farlo. Stessa cosa a livello internazionale: il Real Madrid è sempre stata la squadra-spettacolo, il Liverpool e il Manchester le squadre dal tipico gioco all'inglese, immutabile nei secoli, il Benfica ha sempre giocato alla brasiliana, e così via. * Credo che ci sia all'origine di tutto questo, una tradizione allle quale le squadre blasonate restano legate nel tempo. Ma ci sono anche ragioni pratiche. Quando si cambia allenatore, per esempio, non si è costretti a cambiare mezza squadra, perchè si sceglierà un allenatore in linea col proprio stile di gioco. Stessa cosa per i giocatori: i nuovi saranno scelti con le caratteristiche adatte per poter praticare quel dato stile di gioco. Se per esempio si gioca con difensori che praticano la marcatura a uomo, difficilmente si sceglierà un difensore abituato a marcare a zona, perchè rischierebbe il fallimento. Tutto questo, in pratica, si traduce in un risparmio economico, perchè è più raro sbagliare acquisti. * Il Genoa di questi ultimi decenni, secondo il mio modesto parere, ha avuto ben poco di simile a quello descritto dalle parole di Ardissone, presidente nel 1933. Invece credo che si avvicini alle parole di Ardissone, il Genoa così come lo vorrebbero i tifosi, che hanno conservato nella memoria storica l'immagine dei tempi d'oro. Credo che con Preziosi un salto di qualità sia necessario. * Per quanto possa dire io, in base a quello che ho visto da giovane negli anni '50, la caratteristica fondamentale del Genoa era il famoso cuore, non a caso, credo, protagonista della scritta dello striscione più bello che tutte le domeniche compare alla Nord. Ai giocatori veniva chiesto di impegnarsi fino all'ultimo respiro, e spesso lo facevano. Detta così, sembrerebbe di dover catalogare il gioco tipico del Genoa come "provinciale" Ma io credo che ci sia qualcosa di molto più nobile alle origini di questo stile di gioco. E qui non parlo più per quello che ho visto, ma per quello che mi hanno raccontato, quando ero giovane, quei genoani che avevano visto il Genoa degli anni '30, o addirittura quello dell'età dell'oro (e degli scudetti). E poi, anche per quello che ho letto. * Il Genoa è nato dagli inglesi e quindi, ovviamente, giocava all'inglese. Poi dall'arrivo di Mr. Garbutt, questo gioco è stato codificato razionalmente e inculcato nei giocatori attraverso i decenni. Catto in un'intervista sul Calcio Illustrato degli anni '50, dice che Garbutt voleva poassaggi di prima, lunghi e forti verso le punte. Ci si immagina così, facilmente, un Genoa costantemente votato al gioco d'attacco, e capace di tenere un gran ritmo. All'inglese appunto. Ma in quei termini: passaggi "lunghi" e "forti" c'è dell'altro. Per controllare palloni che arrivano lunghi e forti, bisogna anche essere in possesso di buoni fondamentali. E infatti, i giocatori del Genoa dei tempi d'oro avevano anche ottima classe. Dal mitico De Vecchi detto "il figlio di Dio" per il suo perfetto controllo di palla e il suo senso della posizione (De Pra raccontava che gli diceva sempre: tu non guardare la palla, guarda me, perchè per arrivare al tiro devono passare da me), alla leggendaria mediana Barbieri, Burlando, Leale, a Santamaria, tecnico per eccellenza, e via dicendo, erano molti i giocatori di classe che vestivano a quei tempi la gloriosa casacca rossoblù. E non a caso molti erano nazionalei. Ma anche il Genoa degli anni '30 ha avuto una riga notevole di campioni. C'è poi, a questo proposito, una importante testimonianza su uno Sport Illustrato degli anni '50, dove si parla, in un articolo dedicato al Genoa, di un attaccante di cui mi sfugge adesso il nome (ma a Genova conservo la rivista) che il Genoa stava trattando e del quale invece la tifoseria contestava l'acquisto, ritenendolo poco tecnico per le tradizioni della società. Testimonianze come queste sono preziose per poter ricostruire fatti ai quali non abbiamo potuto assistere. * Concludendo, direi che il miglior giudizio sullo spirito del gioco del Genoa, che dovrebbe segnarne lo stile societario al quale Preziosi dovrebbe guardare nel suo paziente lavoro di ricostruzione, è quello che ho letto su una vecchia storia del Genoa e che con mirabile sintesi suonava (cito a memoria) così: "Il Genoa dei tempi d'oro era formato da atleti di ferro, dotati di grande classe. Gente insomma che giocava e picchiava (nel senso che non aveva paura di niente) nello stesso tempo, e non si sa se gli piacesse più giocare o più picchiare" Credo che questo sia anche il Genoa che piacerebbe ai tifosi, anche se oggi, forse a causa dei troppi anni di B, ci entusiasmiamo di più per i giocatori che "picchiano" che per quelli che giocano. Ma se vogliamo tornare grandi (questo è solo il mio parere) dovremo riabituarci alla svelta ad apprezzare anche i giocatori che giocano.





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